Per
tracciare i tratti più salienti della vita di questa grande regina
ci riferiamo principalmente al Kiesewetter. Per tutte le considerazioni sul personaggio e sul suo rapporto con la
politica del tempo rimandiamo al pregevole studio di Francesco
Costa qui citato in nota.

Eleonora
d'Angiò, nacque a Napoli
nel 1289, ottogenita (e terza figlia femmina) di Carlo
II d'Angiò, re di Sicilia,
e di Maria
d'Ungheria.
Come lei, fervente francescana, sua figlia, Caterina,
e le sue nipoti, Costanza
e Bianca,
figlie di suo figlio Pietro
II, si rinchiusero nel monastero delle Clarisse
di Messina.
La figlia ne divenne l'abbadessa.
Vale la pena dire che lo zio di Eleonora
era S.
Luigi IX re di Francia
e patrono dei Terziari francescani, un’altra zia era la principessa
Margherita d’Ungheria, mistica francescana notissima all’epoca, e
il fratello di Eleonora
era S.
Ludovico
vescovo di Tolosa anch'egli totalmente preso da Francesco. La
fortissima fede religiosa associata alla pratica francescana della
povertà e della penitenza accompagnò per tutta la vita
Eleonora.
Per sua stessa disposizione ella volle essere seppellita in una
chiesa da
lei dedicata a san
Francesco a Catania,
S.Francesco all'Immacolata. In tutta la vita
si prodigò in opera di beneficenza e donazioni a favore dell'ordine
francescano,per tutti e tre gli ordini in cui era costituito.
Dal
1319 risultava operante a Messina
una comunità di terziari francescani che nel 1291 avevano
eretto e tutt'ora gestiva un fanale per far luce
alle navi in transito sullo stretto e per assistere i naviganti
scampati a naufragi.
Il
papa
Clemente V
aveva concesso ad Eleonora
e a Federico la grazia di potere entrare nel monastero delle
Clarisse a
Messina,
per andare a trovare la propria figlia oltre che le nipoti, purchè
non si fermassero a mangiare. I francescani del primo ordine furono i
preferiti della regina. Nel 1318 Eleonora
nominava
suo cappellano ed elemosiniere il Minorita
fr. Eleazaro.
Come ad un altro minorita Giovanni
Campolo da Messina
la stessa diede l'incarico di tradurre in volgare i Dialoghi di
Gregorio
Magno, di cui gli aveva segnalato la necessità della traduzione
proprio Arnau
de Vilanova.
Una
particolare attenzione è stata posta da Federico ed Eleonora
al monastero delle Clarisse
di Messina.
Esso era stato fondato dalla madre di Federico, Costanza
d'Aragona.
Nel 1310 Federico chiese al Papa
l'assistenza religiosa dei frati minori per lo stesso monastero.
Clemente V
accettò chiedendo al ministro provinciale di mettere il monastero
sotto la sua guida. Nel 1322 il papa
Giovanni
XXII confermava i privilegi elargiti dagli altri Papi al monastero,
su specifica richiesta di Eleonora.
Come detto Eleonora
si battè in prima persona anche al fine dell'erezione della Chiesa
dedicata a Francesco all'Immacolata a Catania.
RImandiamo all'attenta narrazione del Costa per i dettagli sulla
vicenda, oltre che per i rapporti tra Eleonora
e gli spirituali
francescani, tra i quali ricordiamo, rientrava il suo maestro Arnau
de Vilanova.
Nulla
si sa dei primi anni di vita
di Eleonora,
che presumibilmente trascorse nei castelli regi di Napoli.
La prima concreta informazione è del 1300, quando Bonifacio
VIII scioglie la promessa di matrimonio contratta con Philippe
de Toucy. In una lettera del 27 febbraio del 1300 Filippo
Minutolo, arcivescovo di Napoli,
venne incaricato dal Papa
di indagare al riguardo. Si appurò che la principessa, all'età di
dieci anni, aveva formulato una promessa di matrimonio di fronte a
Bartolomeo
da Capua e al camerlengo Jean
de Montfort. Il pontefice ordinò di sciogliere immediatamente
Eleonora
da questa promessa.
Ai
primi del 1302 si parlò di un matrimonio di Eleonora
con Sancio,
secondogenito del re Giacomo
I di Maiorca, un progetto che non andò in porto.
La
pace di
Caltabellotta,
stipulata il 29 agosto 1302 dopo il non buon esito della campagna di
Carlo di
Valois e Roberto,
duca di Calabria,
contro la Sicilia,
stabili che, per sigillare la pace, Eleonora
sarebbe andata in sposa a Federico
III (II) d'Aragona,
dal 1296 re dell'isola di Sicilia.
Questi sarebbe stato riconosciuto re vita
natural durante col solo titolo di re di Trinacria.
La partenza di Eleonora
per la Sicilia,
ritardò sino alla primavera del 1303, perché le precoci mareggiate
invernali avevano
distrutto la flotta allestita per il viaggio. Il 25 marzo 1303
Eleonora
parti alla volta di Reggio, dove giunse il 13 maggio. Il suo seguito
era composto dal fratello Giovanni,
futuro conte di Gravina, da Pietro
Ruffo, conte di Catanzaro, da Ruggero
Sangineto, conte di Corigliano, dal vescovo
Giovanni di
Ravello e da tutta la corte angioina. La futura regina di Sicilia
aveva per dote una grande quantità di gioielli. All'arrivo
Eleonora
fu accolta con entusiasmo a Messina,
dove era stato costruito un nuovo molo in suo onore. Fino alle nozze
soggiornò nell'ospedale gerosolimitano
di Messina.
Il
26 maggio 1303, giorno di Pentecoste,
Eleonora,
sontuosamente vestita, fu condotta alla cattedrale
di Messina,
dove l'arcivescovo celebrò le nozze.
I festeggiamenti si susseguirono per due giorni, al termine dei quali
il seguito di Eleonora
fece ritorno a Napoli,
per espresso ordine di Carlo
II. Federico ed Eleonora
partirono per Palermo.
Le fonti tacciono sui primi anni di matrimonio. Probabilmente
Eleonora
accompagnava il re nei suoi viaggi per l'isola.
Nel
1304 nacque la primogenita, Costanza,
futura regina di Cipro e d'Armenia. Il 14 luglio 1305, invece, vide
la luce a
Palermo il
primo figlio maschio, che in onore del nonno paterno fu battezzato
Pietro (il futuro Pietro
II).
Il
28 agosto 1305, il momento che abbiamo visto è stato la chiave per
la nascita del sito di Argimusco:
in segno di festa per la nascita dell'erede al trono, Federico diede
a Eleonora,
in appannaggio
e patrimonio, il castello e la terra di Avola, con la relativa
giurisdizione civile e penale.
Questa
donazione
rappresenta una pietra miliare nella storia costituzionale
siciliana,
in quanto costitui il primo nucleo
della Camera delle regine di Sicilia
che durò poi fino al 1537.
Negli
anni successivi Eleonora
ricevette in appannaggio
dal suo consorte anche le città di Siracusa
(1314), Lentini,
Mineo,
Vizzini,
Paternò,
Castiglione,
Francavilla
e i casali della Val
di Stefano di Briga. Per queste donazioni essa dovette rendere
omaggio e prestare servizio feudale al re Federico.
Eleonora
esercitò direttamente poteri di amministrazione della Camera,
esercitando poteri sovrani sulle sue terre.
Il
28 maggio 1308 nominò,
con un diploma emanato a Palermo,
un capitano e vicario per i suoi possedimenti di Avola, Calcerando
de Vergnea,
delegandogli esplicitamente la giurisdizione penale. Fu costui
secondo noi a predisporre il trasferimento delle risorse ad Arnau,
risorse poi utilizzate per la realizzazione
dell'Argimusco.
Con
quelle risorse Eleonora
voleva ricompensare Arnau per le attenzioni date, anche con i libri
già citati,
al consorte e al regno nonché per le raccomandazioni di morale
evangelica
date alla stessa Eleonora.
Ricordiamo
che nello stesso anno, 1310, Arnau aveva da poco finito, a
Montalbano,
la Informaciò
espiritual al Rei Frederic de Sicilia.
Come già visto, in esso Arnau si rivolge alla regina Eleonora
raccomandandole di non avere letture mondane, di organizzare gruppi
religiosi e di essere un esempio di santità per i suoi sudditi.
In
cambio la regina gli regalò il tabernacolo di legno
e costruì, per lui, le Chiese di Spirito Santo e di Santa Caterina
d'Alessandria, quest'ultima poi ridedicata nel 1344 alla patrona
degli alchimisti, quale corrispettivo della direzione e concessione
lavori per una grande opera (Magnum Opus). Il fine doveva essere, lo
abbiamo già ipotizzato, il progetto di Arnau di realizzare
sul sito di “Argimustus”
una sorta di grande talismano
di pietra al fine della medicina
astrale per la cura del corpo del re e per la salute della famiglia
reale nei
tempi nefasti della imminente apocalisse.
Il progetto di Arnau, ipotizziamo, che possa essere stato appoggiato
con entusiasmo da Eleonora
anche grazie all'influsso esercitato su di lei dalla passione
alchemica di suo fratello Roberto re di Napoli, con cui, peraltro,
Arnau era in rapporto epistolare e diplomatico.
Tanto Eleonora
lo appoggiò che mise a disposizione il patrimonio della Camera
Reginale siracusana, rectius la presunta accondiscenza di quelle
genti al pagamento del “donativo forzoso”, al fine di garantire
la segretezza dell'opera. Non è un caso, come visto sopra, che i
rimaneggiamenti e la ridedicazione a S. Caterina della omonima Chiesa
siano stati effettuati un anno dopo la morte della Regina. Tale era
il legame di affetto che legava la discepola Eleonora
con Arnau che, lei viva, il nipote non avrebbe mai potuto effettuare
le modifiche che oggi vediamo.
Nell'amministrazione
della Camera Eleonora
mostrò grandi doti di equilibrio e saggezza.
Nell'amministrazione
della Camera Eleonora
mostrò grandi doti di equilibrio e saggezza. Altrettanta saggezza
dimostrò nel discreto consiglio e influenza politica sul regale
marito.
Ricordiamo
che nell'ottobre 1309, nei Capitoli di Piazza, il re promulgò una
legge che prevedeva, tra le altre cose, l'apertura di scuole per
maschi e femmine. Nel Rinascimento l'istruzione femminile veniva
ancora considerata un inutile perdita di tempo e tutt'ora 58 milioni
di bambine nel mondo non hanno accesso all'istruzione, per non dire,
poi, degli stati confessionali talebani di oggi.
Nei
successivi 48 capitoli stabilì anche il valore giuridico della
deposizione delle donne nella compravendita di immobili, una specie
di rivoluzione nel campo dei diritti civili e della non discrimazione
sessuale antesignana delle legislazioni del 1900. I capitoli sono
stati, evidentemente, influenzati dall'insegnamento di Arnau a corte
nonchè dal carattere di Eleonora
d'Angiò.
Nel
1323 un commerciante di nome Antonio
Maniscalea
si rivolse alla regina per chiedere una riduzione del dazio: aveva
dovuto pagare 65 once di dazio per l'esportazione di gallette
attraverso il porto di Siracusa,
ma durante il trasporto la merce era stata danneggiata. Con un
diploma del 28 luglio 1323 Eleonora
dispose una verifica dei danni, concedendo al Maniscalea,
qualora avesse dichiarato il vero, una riduzione di 1 oncia e 15 tari
su un terzo della merce perduta.
Nel
1324 Eleonora
ricevette le lagnanze della città di Siracusa
sulla validità dell'elezione di Perillo
Arezzo a konsul maris e di Rogerio
Aprile a iudex. D'intesa con Federico
III, Eleonora
confermò le nomine.
Dispose tuttavia che le elezioni e le estrazioni a sorte per la
nomina a
cariche cittadine avvenissero alla presenza di un commissario regio.
Questi immediatamente dopo, avrebbe dovuto recarsi personalmente
dalla regina a prestare giuramento sul Vangelo
e ricevere nelle proprie mani i documenti regi di conferma degli
eletti.
Tutti
questi esempi indicano la tendenza, da parte di Eleonora,
a gestire direttamente l'amministrazione dei suoi possedimenti.
Tuttavia
Federico preservava attentamente i suoi diritti, soprattutto per
quanto riguardava l'importante città di Siracusa;
solo col suo consenso, nel 1335, Eleonora
poté nominare
Niccolò Grillo castellano di Siracusa.
Dopo
la ripresa della guerra tra Roberto
d'Angiò e Federico
III, nel 1312, Eleonora
iniziò a svolgere un ruolo importante anche in politica estera quale
mediatrice tra la monarchia angioina e quella aragonese.
Nel
giugno del 1312 suo cognato Giacomo
II, re d'Aragona,
inviò ad Eleonora,
una lettera in cui la pregava di dissuadere
Federico dall'allearsi
con l'imperatore
Arrigo VII,
poiché una simile decisione avrebbe potuto provocare una frattura
con la Chiesa
e ostacolare l'occupazione aragonese della Sardegna.
Il tentativo di mediazione fallì.
Allo
scoppio del conflitto tra Federico
III e la Chiesa,
fu il Papa
a prendere l'iniziativa, chiedendo a Eleonora,
in una lettera del 1º agosto 1314, che essa cercasse di indurre
Federico a riconciliarsi con suo fratello Roberto.
Anche
questa mediazione fallì.
Nel
frattempo Eleonora
aveva dato alla luce
un altro figlio maschio, Manfredi,
in onore del suo antenato svevo, che però mori quasi subito. Nacque
poi Guglielmo,
futuro conte di Randazzo.
All'inizio dell'estate del 1317 si aggiunse un altro figlio maschio:
Giovanni,
futuro duca d'Atene e di Neopatria. Infine, l'8 maggio 1318 nacque a
Mazara del Vallo un quinto bambino, che fu battezzato Ruggero, a
richiamo della tradizione normanna; anch'egli, tuttavia, morì
presto. Federico ed Eleonora
ebbero anche tre figlie femmine, oltre alla già citata Costanza:
Margherita,
deceduta in tenera età; Isabella,
futura consorte di Stefano, il secondogenito di Ludovico
il Bavaro; Caterina,
che entrò nel convento di S. Chiara a Messina
e ne divenne l'abbadessa.
Nel
1319 Eleonora
ebbe contatti con il Papa
Giovanni
XXII.
Il
10 e l'11 novembre, con varie lettere, in deroga all'interdetto
comminato a tutta la Sicilia
il Papa
accordò il permesso
di assistere alle funzioni religiose, di scegliere liberamente il
proprio confessore, di ricevere l'estrema unzione e infine - a
cagione della sua debolezza fisica - di mangiare carne, dopo
l'imbrunire, nei giorni di digiuno. Queste scarse notizie
giustificano l'ipotesi che Eleonora
all'epoca soffrisse di qualche malattia.
Il
19 apr. 1322, a Palermo,
presenziò all'incoronazione di suo figlio Pietro, associato da
Federico al trono di Sicilia.
Nel 1325, in occasione dell'attacco sferrato contro la Sicilia
da suo nipote, Carlo
di Calabria,
che saccheggiò e incendiò il circondario di Messina,
Eleonora
intraprese un nuovo tentativo di mediazione, ma anche stavolta senza
risultati: Carlo
di Calabria,
influenzato dal padre, si rifiutò di riceverla. Nel 1329 papa
Giovanni
XXII prese l'iniziativa di fare trattare ad Eleonora
la pace con Federico. Anche questo tentativo rimase senza esito.
Nel
1332 Eleonora
cercò di mediare sul conflitto tra Federico
III e Giovanni
Chiaramonte
il Giovane,
tornato da poco in Sicilia
dopo essere stato al servizio di Ludovico
il Bavaro. Ma neanche
stavolta la fortuna le arrise: in una scaramuccia Giovanni
feri gravemente Francesco Ventimiglia,
suo nemico personale e fiduciario di Federico. Giovanni
Chiaramonte,
da sempre suo protetto,fu messo al bando da Federico.
Eleonora
convinse Giovanni
a lasciare la Sicilia
al più presto, per non essere condannato a morte come traditore.
Nello stesso tempo gli inviò dei messaggi assicurandogli che sarebbe
rientrato presto.
Nel
1333 l'ultimo tentativo di pace tra Federico
III e il pontefice.
Nella
primavera dello stesso anno essa aveva inviato una legazione al
papa, che
fu accolta onorevolmente, per come Giovanni
XXII le assicurava per lettera. L'8 settembre il pontefice le
scriveva di nuovo, spiegandole di non volere trattative dirette con
lo scomunicato Federico, ma invitando
Eleonora
a ricondurre il consorte sulla retta via e a fare tutto il possibile
per consentire il suo rientro in grembo alla Chiesa
e salvare la sua anima dalla dannazione. In cambio, il pontefice
prometteva a Federico onori e favori. Questi tentativi rimasero
anch'essi infruttuosi.
Lo
stesso Kiesewetter
osserva che Eleonora,
in quanto madre di principi aragonesi, tendeva a difendere le
posizioni aragonesi anziché quelle angioine.
Il
25 giugno Federico
III mori presso Paternò,
presente Eleonora.
Lei
provvide a far portare la salma a Catania
ove Federico fu sepolto nel duomo catanese. Il caldo estivo impediva
il trasporto fino a Palermo.
Il testamento nominava
Eleonora
esecutrice insieme col vescovo di Siracusa,
con Francesco
Ventimiglia,
conte di Gerace, con Raimondo
Peralta, gran cancelliere del Regno, e col maestro
giustiziere Blasco
Alagona.
Dopo
la morte di Federico Eleonora
acquisì maggiore influenza sulla politica siciliana,
giacchè Pietro
II non aveva alcun interesse per gli affari di governo. Riusci ad
imporre il ritorno del suo protetto, Giovanni
Chiaramonte.
Egli era al servizio del nemico angioino. Ciò nonostante la magna
curia, convocata a Nicosia, lo riabilitò e un diploma di Pietro
II del 30 dic. 1337 gli restitui quasi tutto il suo patrimonio.
Elisabetta
di Carinzia, consorte di Pietro
II, consapevole della debolezza del marito Pietro, cercò di spianare
alla famiglia dei Palizzi,
da lei favorita, la strada verso le cariche più elevate. Elisabetta
riusci a prevalere sulla madre di Pietro, Eleonora:
i Palizzi
divennero i più stretti confidenti di Pietro e occuparono le
posizioni chiave di gran cancelliere e maestro razionale.
Riesplose
l'antico contrasto tra i Chiaramonte
e i Ventimiglia.
Nel 1338 il castellano di Lentini,
Ruggero
Passaneto, fu accusato di voler rilasciare, dietro riscatto,
Francesco
(II) Ventimiglia,
che era stato affidato alla sua sorveglianza.
Eleonora
in persona si recò immediatamente a Lentini
cercando di mediare, ma il Passaneto rifiutò di accoglierla nella
roccaforte, suo possesso della Camera
reginale. Il Passaneto cercò addirittura di cedere la roccaforte
agli Angioini.
La
crisi fu risolta solo dall'intervento di Blasco
Alagona,
che intavolò trattative col castellano di Lentini.
Nel
1340 Eleonora
cercò di giungere a un accordo con il papa
Benedetto
XII, successo a Giovanni
XXII. Inviò il catanese Guido
di Santa e Matteo
di Marsala alla corte aragonese nella speranza che Pietro
IV facesse da mediatore tra Pietro
II e il pontefice. Benedetto
XII respinse bruscamente la manovra e dichiarò Roberto
d'Angiò legittimo re di Sicilia,
esortandolo alla guerra contro Pietro.
Il
figlio di Eleonora,
il re Pietro II, morì improvvisamente il 15 agosto 1342, a
Calascibetta (EN), e fu sepolto nella Cattedrale di Palermo
Il
nipote di Eleonora,
Ludovico,
divenne a soli sette anni Re di Sicilia, sotto la duplice reggenza
dello zio, il duca di Randazzo, Giovanni
d'Aragona, e della madre, Elisabetta, reggenza che provocò tensione
ed instabilità nel Regno. Ludovico
risiedette fino al 1347 a Randazzo. E' probabile che la decisione
della trasformazione della chiesa di Santa Caterina venne presa,
dunque, da Elisabetta di Caringia, nel frattempo (1344), residente a
Randazzo.
Eleonora
d'Angiò trascorse gli ultimi anni della sua vita
indossando per devozione l'abito delle clarisse
e vivendo in solitudine e raccoglimento. Il Cagliola
specificava, in proposito, che non fu mai clarissa ma terziaria
clarissa causa la inosservanza
della clausura. Essa vestiva l'abito per devozione ma senza
professare la Regola.
Visse in una piccola villa, costituita da alcune case terrane da lei
fatte costruire con giardino e una grande cisterna, alle falde
dell'Etna nel villaggio
Guardia dell'antica Malpasso. Singolarmente le case ove visse si
trovavano esattamente sulla ideale
diagonale nord-sud che parte dal castello di Montalbano, ove Ella
aveva vissuto i momenti forse più belli della sua giovinezza.
La
grande cisterna del villaggio
Guardia era stata fatta costruire dalla regina a beneficio dei
contadini del luogo per irrigare le campagne.
La lava ha coperto gran parte di quelle case terrane, salvando solo
un vano delle stesse e un elegante “...terrazzina
dalla pianta quadrangolare, le cui pareti su tre lati sono arricchite
da una serie di sedili in muratura rivestiti da mattonelle in
terracotta e formanti come delle spalliere...”,
per come scriveva lo scopritore V.
Bruno.
Dalla
villa si recava spesso presso i monaci benedettini dell'attiguo
monastero di San
Nicola l'Arena per conversare o prendere parte ad esercizi di
penitenza. Nel casale La Guardia morì all'età di 58 anni il 9
agosto 1343. Per sua disposizione Eleonora
venne seppellita nella chiesa di san Francesco all'Immacolata a
Catania, da lei fatta erigere sopra il tempio romano dedicato alla
dea
Minerva.
L'Argimusco,
abbiamo scritto, è una delle tante opere incomplete esistenti in
Italia,
forse la prima. La improvvisa morte di Arnau non consentì di finire
il magnum opus. Si perse il senso dell'opera e l'intero progetto
scese nella tomba con lui.
Finì
anche il periodo regio di Montalbano, si estinsero le memorie dei
testimoni e, in luogo delle armi e delle magie alchemiche dei suoi
signori aragonesi, tornò a risuonare lo scampanio degli armenti al
pascolo.
Ciò
nonostante quello che rimane impressiona anche il visitatore più
sprovveduto.
Non
si può non restare affascinati dalla bellezza surreale
della grande Vergine
in preghiera, secondo il canone cristiano,
imponente, avvolta dalle luci del tramonto, nel silenzio secolare
delle grandi pietre che la circondano.
La
mancata conclusione del progetto lascia sopravvivere ancora
un'immagine della grande regina Eleonora,
donna grande nelle opere di fede, nella politica di stato
e nella carità, premiata con una enome statua posta in uno dei siti
più affascinanti del pianeta.
UNA REGINA A MALOPASSO?!?
Nel
comune di Belpasso, l'antica Malpasso, insiste una piazza intitolata
“Stella
Aragona”. Il nome sta a ricordare l'antico nome della contrada
Guardia di Malpasso, appunto, Stella
Aragona.
Come mai questo inusuale
nome per una contrada di un paesino medievale siciliano?
Durante
le celebrazioni della festa dedicata a Sant'Anna, cui è dedicata una
piccola chiesetta seicentesca sita nello stesso quartiere, ancora
oggi in ogni balcone viene esposto uno stendardo a due colori, una
fascia verticale a sinistra colore giallo chiaro, una fascia a destra
colore blu. Nella fascia a destra sono in grande evidenza due
lettere: una S ed una A.
Starebbero
per le iniziali di Sant'Anna o sono il corrispondente delle iniziali
di Stella
Aragona?
Un
indizio che sposta l'interpretazione di S e A da Sant'Anna a Stella
Aragona è, appunto, l'uso dei due colori giallo e blu. Come noto,
numerosi gigli gialli su sfondo blu costituivano la bandiera della
casata angioina.
La
presenza delle due iniziali S ed A su sfondo giallo e blu fanno
pensare all'unica possibile “stella aragonese” in qualche modo
connessa a quella zona etnea:
una regina. L'angioina Eleonora,
era diventata, per motivi diplomatici e poi familiari, una regina
aragonese: Eleonora
aveva poi vissuto per sei anni in quella borgata. Della sua passione
per le stelle e le costellazioni, poi, già abbiamo detto con
riferimento al finanziamento con la sua Camera
Reginale del mega talismano stellare di Argimusco. Da qui, forse, il
nome di “Stella d'Aragona” su sfondo colore angioino.
Secondo
noi, la bandiera potrebbe essere il lontano ricordo di un preciso
momento storico e di un fenomeno di sincretismo politico in
equilibrio tra due diverse casate, una parte rivendicante i diritti
del regno e l'altra temporaneamente
titolare di quei diritti, in forza della pace di Caltabellotta.
La
S e la A, insomma, potrebbero essere traccia del passaggio di una
regina la cui pietas religiosa, fu tanto apprezzata dalle genti del
luogo da farla quasi elevare all'onore degli altari. Ricordiamoci che
la regina fece costruire la Cisterna omonima per scopi irrigui
agricoli a beneficio dei contadini proprio della contrada di Guardia.
Altra
traccia della presenza di Eleonora potrebbe essere, secondo noi, il
culto di Santa Lucia, ancora oggi santa patrona di Belpasso. Si sono
perse le motivazioni del culto alla santa siracusana nel paese etneo.
La cosa certa è che il culto veniva esercitato in monastero di
monaci carmelitani nell'antica Malpasso già nel 1500. Pare che il
culto fosse comunque più antico.
Noi
abbiamo motivo di ritenere che non può essere una coincidenza che il
paese che ha ospitato per sei anni una regina, la cui Camera Reginale
aveva sede a Siracusa, abbia scelto quale santa patrona la santa di
Siracusa. Come non lo è che il quartiere ove ella abitò si chiamava
Stella Aragona. Dunque, il culto della Santa era stato probabilmente
portato nel paesino etneo da qualche chierico o prete della chiesa
Siracusana o da ufficiali della Camera Reginale che da Siracusa si
recavano a Malpasso in visita alla Regina che, non dimentichiamolo,
esercitava compiti di amministrazione e giuridizione di tipo reale
sul loro territorio.
Chiediamoci
ora per quale motivo una Regina, figlia del Re di Napoli e Sicilia e
della figlia del Re d'Ungheria, non scelse di abitare nei tanti
palazzi reali
sparsi per il territorio siciliano in città più grandi e sicure, ma
scelse di andare ad abitare gli ultimi anni della propria vita in
solitudine, in un luogo pericoloso dal nome Malpasso
(Malopasso),
ovvero passo cattivo, di briganti (nomen
est omen)?
Malpasso
si trovava nel territorio di Paternò e il 25 giugno del 1337 ivi, in
Paternò, morì Federico III d'Aragona.
E
lì vicino poco dopo si trasferì Eleonora
abbandonando la corte Messinese e quella estiva di Montalbano.
Perchè
la regina Eleonora
d'Angiò scelse di costruirsi modeste casette terranee in quella
remota contrada Etnea
preferendola ad una delle tante sedi reali
che avevano ospitato lei e suo marito nei continui spostamenti lungo
il regno?
Perchè
la regina scelse di abitare relativamente lontano dalla Cattedrale di
Catania ove era sepolto il marito Federico? A cavallo, con una buona
andatura, vista l'età di Eleonora
non più giovanissima, sarebbero occorsi per più di 20 km di
distanza non meno di tre ore. In carozza sarebbe stata necessaria una
mezza giornata buona di viaggio.
E,
ancora, se intendeva dimorare accanto al monastero benedettino di
San Nicola
l'Arena, ove ella si dice andava a conversare, perchè scelse un
luogo poco vicino, 3,5 chilometri in linea
d'aria, ove realizzare
quelle case? Era opportuna questa distanza per una regina di età
maggiore di cinquant'anni?
Non
crediamo, se vogliamo essere seri, che la collocazione geografica del
luogo sulla diagonale nord sud che parte dal castello di Montalbano
abbia potuto avere una qualche influenza sulla scelta.
Vi
erano, dunque, altri motivi?
Sì,
vi erano, secondo noi, alcuni motivi che giustificavano tale scelta.
Uno,
ma non il principale, era il fatto che il luogo era sito vicino a
molti importanti monasteri della Sicilia medievale: quello di San
Leone in Pannachio a 1000 circa sull'Etna, quello di San
Nicola l'Arena poco più giù vicino all'attuale Nicolosi, i cenobi
dipendenti dai monasteri di Terrasanta di Santa Maria in Valle di
Iosaphat e di S. Marco a valle presso Paternò e, infine, il
monastero di Santa Maria di Licodia. Tutti questi monasteri erano
connessi ad un importante via di comunicazione «quae
venit a Messana in Adernionem»,
che arrivava da Messina e proseguiva per Adrano passando in alto
sull'Etna vicino al monastero di San Leone.
Eleonora,
abbandonata la provincia di Messina, ove conservava affetti familiari
e ricordi, decise, dunque, di percorrere quell'arteria stradale per
andare a vivere il resto della sua vita vicino a tanti cenobi.
L'altro
motivo, secondo noi principale, era legato alla fortissima
fascinazione che esercitava nei circoli francescani dell'epoca e su
Eleonora,
in particolare, l'esperienza ascetica e mistica della principessa
francescana Margherita
d'Ungheria. Cosa avesse di speciale Margherita è presto detto.
In
primis, era zia di Eleonora
per parte di madre; in secundis, ebbe un'apparizione mariana che fece
gran scalpore nell'Europa francescana tra la fine del XIII e l'inizio
del XIV secolo. E dunque?
Il
punto è che poco vicino a quelle casette cento anni prima era
avvenuta un'altra apparizione della Madonna, oggi dimenticata a
beneficio di quelle recenti avvenute ancora lì vicino negli anni tra
il 1986 e il 1988.
Ma
andiamo con ordine.
Alcuni
documenti di epoca normanna, un atto di donazione in particolare,
sottoscritto in favore della chiesa di
S. Leone de Pannachio, parlano della sopraccitata via montana per la
quale da Messina si giungeva in Adernò.
Per “Pannachio”, sembra debba intendersi uno dei conetti
avventizzi dell'Etna, oggi Monte S.Leo, nei cui pressi sorgeva la
chiesa di S. Leone e l'annesso monastero.
Secondo
il White la
prima colonizzazione benedettina dell’area
meridionale dell’Etna fu senza dubbio la prioria di
S. Leone de Pannachio.
La piccola chiesa era un piccolo edificio sacro fondato sotto i
bizantini e dedicato al santo vescovo di Catania, vissuto nella
seconda metà del secolo VIII. Essa era stata costruita per
assolvere, oltre alle funzioni di natura religiosa, anche a luogo di
ricovero e punto di riferimento per i viandanti che transitavano per
la vicina via montana, la quale, ripetiamo, metteva in collegamento
questi territori con la città di Messina.
Giovanni
d’Amalfi – monaco dell’abbazia catanese – ricevette dal
Conte
Enrico di Policastro e Signore di Paternò, nel 1137, la piccola
chiesa dismessa di S. Leone, insieme ad alcuni possedimenti nei
pressi di Rachalena (Ragalna).
Come bene osserva il Mursia, con la citata oblazione il Conte Enrico
si assicurò “un controllo diretto sulla vicina e importante via di
comunicazione «quae
venit a Messana in Adernionem».
Alla prioria di S. Leone nel 1156 Enrico assegnò poi la piccola
chiesa, di fondazione bizantina, di S. Nicolò de Arena, con funzione
di ospedale per i monaci infermi e avente probabilmente funzione, “di
punto di riferimento per i viaggiatori, che percorrevano la strada
già costeggiante S. Leone, la quale poi procedeva verso il monastero
di S. Giovanni di Paparometta di Fleri e ancora alla volta dell’altro
monastero di S.
Andrea
super Mascalas”.
Orbene,
la cisterna della nostra regina si ergeva, e ne sono oggi visibili i
resti, proprio accanto alla citata strada regia che scendeva dal
monastero di San Leone, passando poi dal monastero di San
Nicola l'Arena. Ancora oggi, percorrendo quella strada, in alcuni
punti dotata di alti muri di pietra a secco, si può verificare come
essa, costeggiando il torrente oggi scomparso di Piscitello,
collegasse il quartiere Guardia con l’antico abitato di Malpasso.
Dopo
avere esaminato l'aspetto logistico dei collegamenti vediamo la
ragione più importante che ha determinato, secondo noi, il
trasferimento della regina in quei luoghi.
Malpasso
fu menzionata per la prima volta in una carta del 1305 attualmente
conservata negli Archivi Vaticani in cui è scritto: “Santa
Maria del Passo in territorio di Paternò nelle vicinanze di
Valcorrente”.
Inizialmente il toponimo era dovuto alle caratteristiche della zona:
“Passu”designava una zona in cui vi era un frequente passaggio,
mentre il prefisso “Malu”, poi aggiunto, indicava o la
caratteristica negativa del luogo pericoloso e disagevole (da
“Malus”) o, probabilmente, la presenza di alberi di mele (da
“Malum”).
Nel
XIV secolo, sembra fosse molto popolare nel territorio il culto della
Madonna, grazie alla presenza di una cappella costruita in ricordo di
una apparizione avvenuta nel 1235.
Gli
abitanti del luogo veneravano la Madonna della Guardia, ovvero la
Madonna che guarda, protegge il passo nel tragitto. E', dunque,
probabile che il culto della Madonna della Guardia sia legato a
quella antica apparizione avvenuta lungo la strada regia che passa
dal borgo omonimo. Esiste ancora una tradizione orale del fatto che
nel XIV secolo fosse preservato un quadro, probabilmente relativo
all'apparizione, custodito nella vecchia chiesetta ove la regina
Eleonora
d'Angiò andava a pregare quando da Paternò
si spostava col suo seguito fino alle case terrane di Malpasso.
Abbiamo
detto che la fortissima fede religiosa associata alla pratica
francescana della povertà e della penitenza aveva accompagnato tutta
la vita di Eleonora.
Ricordiamo
che lo zio di Eleonora
era S.
Luigi IX re di Francia nonché patrono dei Terziari francescani e il
fratello di Eleonora
era S. Ludovico,
vescovo di Tolosa, anch'egli totalmente preso da Francesco. Ma vi è
di più. Una zia di Eleonora
d'Angiò, Margherita
d'Ungheria, era diventata famosa,
nell'Europa dei penitenti e riformatori francescani, per la coerenza
e rigidità della vita ascetica condotta nonché a causa dei vari
miracoli a lei attribuiti prima e dopo la morte. Uno dei fenomeni
sovrannaturali riconnessi alla leggenda di Margherita era stata
un'apparizione mariana, avvenuta esattamente nell'omonima isola di
Margherita a Budapest, già isola delle Lepri, luogo poi dedicato a
lei proprio in ricordo di quella famosa apparizione.
In
sintesi, poco tempo prima della sua morte, la Vergine le era apparsa
in sogno. La Madonna era in piedi su un carro. Si rivolse a
Margherita così dicendo: “Io ho esaudito la tua preghiera. Sii
forte e fedele, io sarò il tuo sostegno” . Poco tempo dopo arrivò
la morte prematura di Margherita ancora solo ventinovenne .
Dal
suo convento sull'isola sul Danubio si era trovata in sintonia con lo
spirito dei movimenti di disciplinati e penitenti, che allora si
diffondevano in Europa. Tra essi anche i fraticelli spirituali
francescani poi accolti da Federico III su richiesta di Arnau da
Vilanova. Dopo la sua morte fu vasta l'eco suscitata dai vari
miracoli avvvenuti presso la sua tomba o nel coro del convento
(abbandonato e poi distrutto nel XVII secolo).
E'
probabile che da sua madre Maria
d'Ungheria,
Eleonora,
abbia appreso le prime notizie sulla zia Margherita. L'influenza di
Arnau, la forte presenza nonché la protezione data a corte a
numerosi fraticelli e spirituali francescani dovrebbe avere poi,
verosimilmente, rinforzato la fascinazione di Eleonora
per la zia, in effetti, una delle prime grandi personalità, una
principessa, a sposare in toto l'ideale
ascetico francescano.
Ripensando
alla figura della nipote, la devota francescana Eleonora,
non è, dunque, azzardato supporre che la zia asceta e mistica,
carismatica e taumaturga francescana, possa essere stata un esempio,
per lei, da seguire sopratutto nella fase di raccoglimento e
preghiera, seguita alla morte del consorte. Un ideale
contemplativo che, forse, la vicinanza ai luoghi di un'altra
apparizione mariana avrebbe potuto ispirare e agevolare.
Verosimilmente, proprio per questo, dunque, Eleonora
scelse la contrada Guardia, non di Malopasso ma di Santa
Maria del Passo. Eleonora,
abbandonati quasi del tutto gli impegni di famiglia e di corte, aveva
deciso di imitare la zia fino a vestire l'abito di terziaria
clarissa.
Le
rappresentazioni simboliche presenti nella statua della Vergine
dell'Argimusco, ove Eleonora
è ritratta in preghiera e avvolta nella tonaca monacale per come
prescritto da Arnau de Vilanova, nonché il mosaico della cattedrale
di Messina, ove ancora Eleonora
è raffigurata in preghiera,
erano sogni di cui lei aveva per anni rimandato l'avveramento.
Alla
fine della sua vita la promessa di vita contemplativa potè
realizzarsi.
Una
volta vestito l'abito delle clarisse, il sito delle apparizioni di
Santa Maria
del Passo era il luogo più consono ove dedicarsi alla propria
personale ascesi e realizzazione,
forse, anche nella segreta speranza di potere condividere le visioni
celestiali della zia.
Dopo
anni di guerre e scomuniche, tragedie del regno e drammi familiari,
apocalissi annunciate e non avveratesi, il terrazzino di Santa
Maria del Passo, miracolosamente scampato alla lava e oggi circondato
da una fitta sterpaglia, era forse il posto ove finalmente Eleonora
potè trovare, nel silenzio, la propria serenità.
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In
conclusione non può essere un caso che Eleonora venga ancora
ricordata nei luoghi ove abitò come una “stella”. Se teniamo a
mente la vasta letteratura in materia di medicina astrologica del
Maestro Arnau de Vilanova, il forte rapporto di questi con Eleonora e
con suo marito presso la cui Corte di Montalbano andò a risiedere
per alcuni anni, l'interesse per le stelle comune alla casata della
Corona d'Aragona e gli altri indizi sopraccennati, non può essere
una coincidenza che si sia chiamata Eleonora “Stella dell'Aragona”
e non, ad esempio, “Fiore dell'Aragona”. Il fatto che la regina
sia ricordata, nel posto ove andò ad abitare, per una sua
connessione con le stelle, è, dunque, indizio di una sua probabile
committenza dell'opera dello Specchio delle Stelle.
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Finì
il periodo della Corte reale di Montalbano e della sperimentazione
alchemico-stellare dello Specchio delle Stelle sul sito demaniale di
Argimusco: si estinsero le memorie dei testimoni e tutto venne
avvolto da un manto di oblio. L'Inquisizione, pur assente nella
Sicilia aragonese, faceva paura sopratutto per le possibili
conseguenze in termini politico-militari.
La
memoria della Regina Eleonora scomparve anch'essa forse colpita, per
via della scomunica di suo marito, da una indiretta damnatio
memoriae.
Eleonora, regina di Sicilia per ben 41 anni, venne presto
dimenticata. Nessuno ricorda più la presenza di quella grande e
coraggiosa regina nei luoghi ove ella visse la gran parte della
propria vita, ovvero la corte di Messina e il palacium di Montalbano.
Il Palacium di Montalbano, anzi, negli ultimi anni è stato
sottoposto a vandalici restauri che lo hanno sin'anco privato dei
merli ghibellini, ovvero del simbolo e del concetto di monarchia per
cui combattè strenuamente tutta la vita il suo più illustre
abitante, il marito di Eleonora re Federico III, sempre in guerra per
quegli ideali contro gli eserciti angioini e papali. E sappiamo con
quale dolore e lacerazione abbia vissuto la Regina Eleonora quelle
guerre fatte contro la sua stessa famiglia angioina, contro suo
fratello Roberto e contro il Papa. Non è un caso che Eleonora venne
spesso utilizzata come mediatrice al fine di ricondurre a più miti
consigli il fiero marito, impegnato nella salvaguardia dei valori
ghibellini del suo grande nonno, lo svevo Federico II, cui volle,
anche con il numero III in linea successoria, richiamarsi come unico
modello, per tutta la vita.
Abbiamo
visto che anche in altri luoghi della Sicilia si perse memoria della
Regina Eleonora.
Nei
territori Siracusani ove ella creò la Camera Reginale, un vero
esperimento di emancipazione femminile ante
litteram
nell'ambito della consuetudine monarchica, venne presto dimenticata.
Rimase
di lei un ricordo, seppur molto debole, a Catania nella chiesa di San
Francesco da lei fatta costruire e che accolse le sue spoglie
mortali. Altra memoria, molto flebile, è rintracciabile ad Enna ove
ella fece erigere la Cattedrale, di cui ancora si ammirano le absidi
in stile gotico-catalano.
Permane,
invece, il suo ricordo o meglio forse la sua leggenda, nel paesino
etneo di Belpasso, l'antica Malpasso o Santa Maria del Passo, che
conserva segnali dei suoi sei anni di residenza.
La
lava e il tempo hanno quasi del tutto coperto le sue case terrane, ma
non hanno eliminato la traccia del suo passaggio: prova ne è
tutt'ora la dedicazione del paese alla santa patrona, Santa Lucia,
proveniente da Siracusa sede della Camera della Regina, e il titolo
di Stella Aragona rimasto al quartiere ove ella abitò gli ultimi
anni di vita, per come testimoniano ancora gli stendardi
angioni/aragonesi esposti ancora dalle collettività del quartiere.
Abbiamo
detto che Messina ha perso contezza della memoria di quella Regina,
pur conservandone l'unico suo ritratto contemporaneo nell'abside
sinistra del Duomo.
Una
rappresentazione scultorea, impressionante e colossale, è conservata
a Montalbano Elicona, nel vecchio sito demaniale montano di
Argimustus. Trasposizione cristianizzata di una divinità astrale
pagana, Iside come costellazione della Vergine, Eleonora è stata
trasformata da Arnaldo da Villanova in una Vergine simbolo dei valori
cristiani. Una santa, indossante l'abito francescano delle Clarisse,
per come lui le prescrisse e per come ella, alla fine della sua vita,
volle fare.
LA CHIAVE PER LA SOLUZIONE DELL'ENIGMA: LA TRACCIA DEL DENARO PER LA
COMMITTENZA. LE SPESE RISERVATE DI FEDERICO III E UNA DISERZIONE
FISCALE
Siamo
arrivati sul punto di svelare il mistero. Fermiamoci e ricapitoliamo.
Abbiamo detto che la Regina Eleonora d’Angiò è stata a nostro
giudizio tra coloro, con lei l’ideatore Magister Arnau de Vilanova
e il marito Re Federico III, cui è da imputare la paternità
dell’opera, a nostro avviso incompiuta, del sito di statue di
pietra dell’Argimusco in Montalbano Elicona. Abbiamo parlato di
come la cultura medico astrologica e alchemica di Arnau e della coeva
koinè islamico-iberica sia perfettamente coerente con le tecnologie
mediche utilizzate sul sito (in particolare, per i salassi a mezzo
dell'osservazione stellare fatta con il sestante litico arabo e con
le tacche incise sui megaliti e a mezzo della vasca per l'allevamento
delle sanguisughe) e con i vari simboli alchemici e templari.
Abbiamo
detto della donazione di un tabernacolo di legno fatta dalla Regina
Eleonora ad Arnau e della dedicazione dell’ultima opera di Arnaldo,
del 1310, l’Informaciò
espiritual al Rei Frederic de Sicilia,
alla stessa Eleonora. Nell’Informaciò
Arnau
si rivolgeva alla regina Eleonora raccomandandole di non avere
letture mondane e di organizzare gruppi religiosi in stile beghino,
beghini che egli aveva raccomandato pressantemente al Re di ospitare
e proteggere. Abbiamo
detto che tali gruppi vennero, con ogni probabilità, ospitati nelle
due chiese montalbanesi di Santa Caterina e di Spirito Santo,
costruite nello stesso periodo (1310) in stile romanico-catalano.
Arnaldo,
sempre nell’Informaciò, prescrisse ad Eleonora di essere un
esempio di santità per i suoi sudditi vestendo tonache di lino per
visitare gli ospedali con le sue ancelle in modo da essere scambiate,
lei come personificazione della Fede, le sue ancelle della Speranza.
Abbiamo detto di come la stessa immagine della suora in tonaca di
lino con le mani intrecciate in preghiera (posa vietata nel
paganesimo greco-romano) è oggi visibile, oltre che nell’abside
sinistra del duomo di Messina, anche nello specchio
delle stelle
di Argimusco, ove la vergine in preghiera prende il posto della
costellazione-vergine del modello iconografico arabo (il Liber
locis stellarum fixarum
di Al-Sufi) usato da Arnaldo.
Abbiamo
cennato del progetto di Arnau di realizzare sul sito demaniale di
“Argimustus”,
preferita riserva di caccia con il falcone del Re, una sorta di
grande talismano di pietra
al fine della medicina
astrologica per la salute della famiglia reale in vista delle
tribolazioni apocalittiche attese per il 1368 o 1376.
Alcuni attenti studiosi, tra essi G.Pantano
e G.Tropea,
hanno medio tempore prodotto altri studi di conferma della tesi
sull'origine medievale del sito, pur contrastata da chi si ostina a
scambiare per Ciclopi o altri popoli preistorici i committenti e le
maestranze impegnate nella lavorazione delle statue.
Rimangono,
però, ancora tanti interrogativi. Perchè il sito rimase incompiuto
negli anni successivi alla morte di Arnaldo? Come riuscì Eleonora a
finanziare l’opera? Abbiamo già detto, che poco prima, nel 1308,
Eleonora aveva sostituito il Castellano di Avola, terra in dotazione
della sua Camera Reginale, con il fido catalano Calcerando da
Vergnea. Costui era delegato anche della giurisdizione criminale nel
territorio della Camera Reginale.
Il
26 agosto del 1311, proprio da Montalbano, Federico III comunicava
agli ufficiali del Val di Noto di aver incaricato il nobile Enrico
Rosso di Messina,
maestro razionale (una specie di ministro Tesoriere del Regno), di
stabilire le assise a Siracusa per corrispondere 400 onze d'oro di
“donativo obbligatorio” (exenium),
importo pari ovvero al 3,3% di tutte le collette post-guerra
acquisite nel 1286 in tutta la Sicilia, Malta compresa, pari a 12.406
onze.
Ricordiamo
che Enrico Rosso, era stato dato come presente alla Corte di
Montalbano, da Ramon Muntaner (y
misser Orrigo Rosso) nella
sua visita del 1309. E' dunque probabile che egli fosse presente
anche durante la redazione dell'atto che lo incaricava.
Non
è certo da ascrivere a mera casualità la circostanza che l'atto
della Cancelleria con cui si prescriveva di imporre una colletta ai
cittadini della Camera Reginale del Val di Noto partisse proprio da
Montalbano e in presenza di Arnau de Vilanova, ovvero a pochi
chilometri dal sito di statue megalitiche riproducenti simboli spesso
presenti nella sua opera. La presenza di Arnau quel giorno è certa.
Da lì a qualche giorno sarebbe partito per Genova nel cui mare trovò
la morte il successivo 6 Settembre.
Che
quelle ingenti risorse siano servite ad altro che non l’Argimusco,
è da escludere. Non si ha motivo di dubitarne se consideriamo il
clima di urgenza causato dall’attesa apocalittica, la contemporanea
presenza a corte di uno dei personaggi religiosi e culturali tra i
più famosi e controversi del Medioevo autore delle profezie, la
riproduzione sull’attiguo sito demaniale reale dei simboli
culturali e degli strumenti per le tecniche mediche praticate da
Arnau de Vilanova e il fatto che, infine, l’allargamento del
castello era stato certamente concluso prima del 1309 data
dell’arrivo al Palacium di Ramon Muntaner. Altra grande opera coeva
non risulta nei dintorni: le due piccole chiesette di Santa Caterina
e Spirito Santo erano state fatte nel 1310 e comunque con la somma
del tributo se ne sarebbero potute costruire varie decine di quelle
chiesette.
Nonostante
le armi e il probabile timore generato dal castellano e responsabile
dell'amministrazione della giustizia De Vergnea, la riscossione fu,
però, lunga e difficile per la opposizione della popolazione a
contribuire. Si può anzi dire che forse siamo in presenza di uno
dei primi scioperi fiscali o diserzione fiscale
che dir si voglia.
Tanto
fece sì che il 24 gennaio 1313 da Catania Federico III imponesse,
con altra lettera, ai giurati di Siracusa di costringere una tal
nobile Cesarea, moglie del nobile Giovanni di Montenegro, Guglielmo
Palomar, e altri nobili e cittadini a corrispondere le rate loro
spettanti per le 400 onze da donare al Re, e ciò nonostante il loro
perdurante rifiuto.
Nel
parlamento di Castrogiovanni tenutosi nel giugno 1313, Siracusa
espresse, infine, la sua adesione alla colletta votata per la ripresa
della guerra contro gli Angioini: venne per questo, forse, deciso di
convertire l’exenium
in tassa.
Evidentemente
ancora preoccupato, poco dopo, il 18 luglio 1313 da Messina Federico
III scrisse al baiulo, giudici, giurati e agli uomini di Siracusa
ricordando che, nel generale colloquio tenuto a Castrogiovanni nel
giugno 1313, XI ind., Siracusa era stata tassata per 400 onze per la
sovvenzione regia “habita
compensationem ad quantitatem proinde alias terras et loca Sicilie
contingentem”,
ovvero al fine della compensazione di altre terre e luoghi della
Sicilia. La finalità veniva ora in ultimo indicata.
Viste
le difficoltà avute nel riscuotere venne ora incaricato della
esazione delle onze il siracusano Guglielmo Raimondo I Moncada
al posto del maestro razionale Enrico Rosso. Il re Federico era more
tempore
addivenuto a più miti consigli riducendo la somma da riscuotere a
300 onze.
La
città, nel dare la sua disponibilità a contribuire alla colletta,
poteva sottoporre quest’ultima a condizioni: ed è proprio questo
che fece, lo abbiamo visto, quando chiese che si specificasse il
motivo del tributo. Ed è quanto avvenne, poi ancora, nel 1316-17
allorché Siracusa si oppose a corrispondere le 300 onze per cui era
stata di nuovo tassata obiettando che il consenso della città era
stato dato per proseguire le operazioni militari e non per trattare
la tregua con gli Angioini: Federico III reiterò la richiesta di
corresponsione delle 300 onze, ma nella lettera del 22 agosto 1317,
questa volta, si fece scrupolo di elencare in dettaglio i molti
impegni finanziari contratti per la difesa del Regno e per
l’armamento della flotta che rimanevano da onorare.
La
tassa, imposta a Castrogiovanni nel 1313 fu, comunque, presto
revocata perché la cittadinanza fece rilevare che gli abitanti del
Siracusano erano esenti dai donativi e che intendevano, pertanto,
contribuire spontaneamente.
Tanto
in virtù del regime fiscale esente di cui godeva Siracusa: la prima
esenzione era stata, infatti, pronunciata da Federico III il 5
ottobre 1298.
L'esenzione venne poi successivamente ribadita con altri atti di
Federico del 26 ottobre 1306, del 26 dicembre 1306 e del 24 maggio
1307.
Un'altra
interessante annotazione: l’Agnello e il Marrone
riportano quale data dell'atto di Federico III il 26 agosto 1311
citando il primo volume conservato nella Biblioteca Comunale di
Siracusa del Liber
privilegiorum et diplomatum nobilis et fidelissimae Syracusarum
urbis.
Nel suo Repertorio lo stesso Marrone riporta, però, quale data il 26
agosto 1297 citando, però, quale testo lo stesso Liber
Privilegiorum
di Siracusa.
Riteniamo
che la data corretta non sia quella della X indizione nel 1297, ma in
realtà quella del 1311 (IX indizione) o al massimo del 1312 (X
indizione).
Da
cosa traiamo questa convinzione?
In
primo luogo, la definizione di “exenium”
ovvero di donazione, non la tassa poi decisa a Castrogiovanni,
avrebbe avuto senso solo se riferita ad una città che era già stata
prima oggetto di un privilegio di esenzione.
In
secondo luogo, Enrico Rosso divenne maestro razionale dal 1311/1312:
non lo era certamente nel 1297 per come detto nell'atto falso.
E ancora, nel 1297 quello che residuava da recenti eventi bellici del
Castello di Montalbano non era ancora stato ristrutturato e adibito a
palacium reale.
Dunque è altamente improbabile che la Cancelleria regia abbia potuto
rilasciare un atto da un luogo non sede reale.
Perchè
allora la scelta di Siracusa come soggetto del tributo? Forse, poiché
città sede della Camera Reginale avrebbe potuto accettare senza
problemi l’imposizione. Almeno questo è quello che, probabilmente,
pensarono Federico, Eleonora e il loro precettore Arnau de Vilanova
(da lì a poco quest'ultimo sarebbe partito per la missione ove trovò
la morte
davanti al porto di Genova) in quel caldo giorno dell’agosto 1311.
Siracusa,
con Isabella di Castiglia dal 1292 al 1295, era già stata sede di
Camera Reginale.
In automatico, dunque, ripristinata nel 1305 la Camera Reginale,
Siracusa sarebbe dovuta ritornare ad essere sede e patrimonio della
Camera Reginale, per come dà ad intendere l’Agnello.
Dunque,
l'area Siracusana, sede della Camera e oggetto di ripetute attenzioni
benevole in materia di esenzioni doganali e di collette di guerra,
secondo le aspettative del Re non si sarebbe potuta mai sognare di
creare problemi verso un'imposizione ancorchè dai contorni poco
definiti. La donazione avrebbe dovuto rimpinguare le esauste casse
reali per scopi volutamente non resi pubblici, dicevamo
precedentemente, come fino ad oggi fatto anche per le spese riservate
della Presidenza della Regione Siciliana. Si è detto che si voleva
evitare che l’opera fosse resa nota alle famiglie nobiliari
critiche verso la casata reale e, sopratutto, che se ne accorgesse la
Chiesa di Roma che teneva in regime di scomunica il marito di
Eleonora e che guardava con sospetto le opere di Arnau dopo avere
tentato di metterlo un paio di volte sul rogo.
Ci
fu però una sorpresa: i cittadini siracusani si rifiutarono di
pagare la colletta. Dopo un anno e mezzo, il fallimento della
riscossione portò il Re a scrivere ben due volte sullo stesso tema a
distanza di 7 mesi.
Nel
parlamento di Castrogiovanni del giugno 1313 obtorto
collo
Federico dovette trovare una motivazione per l’exenium. Siracusa
espresse solo allora la sua adesione alla colletta che venne votata
favorevolmente al fine della ripresa della guerra contro gli
Angioini: da qui, come detto, la trasformazione in tassa.
Ciò
non bastò ancora perchè un mese dopo Federico fu costretto ad
emettere un altro atto in cui, sollecitando detto pagamento,
specificava che l’importo era dovuto “quale
risarcimento ad altri paesi e regioni di Sicilia”,
con ciò giustificando l'effettivo trasferimento delle risorse nel
Messinese, ovvero a Montalbano, da cui, ricordiamo, venne emesso
l'atto originale di imposizione dell'exenium.
Come
tutti i mariti, Federico immaginiamo dovette subire un anno e mezzo
di martellanti insistenze da parte di Eleonora che, devota discepola
di Arnau nonché sorella dell'appassionato alchimista Roberto Re di
Napoli, premeva, affinchè dopo la morte del Maestro, venisse
completata l'opera. Se poi ricordiamo che come tanti regnanti della
Casata Aragonese,
la sua passione per le stelle era tale che gli abitanti di Malpasso
reintitolarono, in suo onore, il borgo in cui viveva in “Stella
Aragona”,
possiamo avere chiaro lo stress del Re determinante un colloquio in
parlamento e ben tre atti di cancelleria non legati alle più
importanti vicende belliche o del Regno, ma all'esigenza del
completamento dell'opera dello “speculum
astrorum”
prima dell' annunciata apocalisse.
Possiamo,
dunque, ora capire, per quale motivo i lavori dell’Argimusco siano
rimasti incompleti.
Il
cantiere dotato di argani e mezzi costosi, forse, provenienti da
lontano, si era bloccato alla morte del suo progettista e ideatore.
Il
re impaurito di avere, forse, innescato le attenzioni delle famiglie
nobiliari al Parlamento di Castrogiovanni o peggio dell'Inquisizione
(che aveva già tentato di mettere sul rogo Arnaldo da Villanova)
non completò i lavori e con ogni probabilità fece sparire ogni
documento o carteggio sull'opera, per non lasciare tracce. La
dichiarazione fatta a luglio 1313 sulla reale destinazione ad altra
zona di Sicilia e la provenienza dell'atto da Montalbano avrebbero
potuto fare scattare indebite curiosità. Forse, in tutta fretta
venne distrutta ogni prova della committenza reale dei lavori. Il
sito megalitico, talismano medico della famiglia reale, rimase
incompiuto e venne poi presto dimenticato.
Nel
frattempo, il ricordo del significato e del piano stellare dell'opera
era già sceso nella tomba con Arnaldo.
Dall’agosto
1313 all’agosto 1314 l’alchimista astrologo catalano Raimondo
Lullo dimorò in Sicilia, a Messina,
ove è noto scrisse una trentina di testi. Perchè Lullo venne,
dunque, in Sicilia?
Certamente,
uno come lui, un’autorità di primissimo piano nel panorama
culturale europeo, non vi capitò a caso. Fu chiamato dal Re
Federico, al fine, ipotizziamo, di completare il cantiere rimasto
bloccato. Non è un caso, dunque, che l’ultima e pressante lettera
di Federico sia del luglio 1314, ovvero di un mese prima l’arrivo
di Lullo.
Federico
aveva, forse, urgenza di procurarsi anche le risorse per pagare
l’unica persona che, verosimilmente, avrebbe potuto interpretare le
intenzioni progettuali di Arnau, giacchè scomparse insieme a lui.
Probabilmente,
il tentativo fallì o forse, Raimondo potè completare qualche cosa
del piano di Arnau. Certo, è, però, che le grandi pietre
disordinatamente sparse sul pianoro in alto non stanno a testimoniare
la compiuta e funzionale realizzazione di un grande progetto reale.
Il successivo oblio delle conoscenze medico-astrali, il silenzio e
l'incuria di 700 anni di abbandono poi fecero il resto.
Dunque,
da Montalbano e, verosimilmente per esigenze ivi maturate, il 26
agosto del 1311,
in presenza del medico alchimista/astrologo Arnau de Vilanova, venne
emesso un atto per un'imposizione fiscale gravante sulla Camera della
Regina Eleonora d'Angiò. Per evidenziare la cogenza dell'atto, ad
emettere la disposizione non fu la Regina, quale titolare della
Camera, ma il Re in persona che incaricava della riscossione non un
qualunque gabelloto, come in tanti altri atti regi, bensì il
tesoriere reale, Enrico Rosso. Sorprendentemente, le collettività
della Camera Reginale opposero, però, una sorda resistenza fiscale
in nome di quella che oggi chiameremo “trasparenza”.
Il Re alla fine dovette ammettere, anche se parzialmente, il reale
scopo dell'exenium
non rivolto alle guerre, ma ad una compensazione destinata ad altri
luoghi della Sicilia, ovvero a Montalbano da cui l'atto fiscale
originario proveniva.
Ci
sembra, dunque, opportuno concludere che l’Argimusco, oltre ad
essere un unicum mondiale quale vero e proprio “specchio
delle stelle”,
possa essere definito anche come una delle prime grandi opere a non
essere stata completata per scarsità di risorse finanziarie. Non
solo: per il finanziamento di esso si è scatenata una delle prime
resistenze fiscali che la storia ricordi.
Gli
abitanti del Siracusano stufi di imposizioni fiscali chiesero conto e
ragione dell’utilizzo delle risorse loro fiscalmente sottratte.
Chiesero,
si direbbe oggi, trasparenza fiscale.
L'Argimusco
è, forse, anche un silenzioso monito valido anche per la politica di
oggi?!?
PAUL DEVINS E ALESSANDRO MUSCO