Monday, February 24, 2014

ARGIO CI RIVELA IL SIGNIFICATO DEL TOPONIMO DI “ARGIMUSCO”? (TRATTO DA ARGIMUSCO DECODED DI PAUL DEVINS E ALESSANDRO MUSCO - 2013)


Siamo arrivati alla fine del nostro viaggio. Abbiamo, in ultimo, incontrato il personaggio principale del sonetto del Santinelli, Argio.
Il nome di Argio ci fa, ora, porre un problema.
Cosa vuole dire "Argimusco" o "Argimosco"? All'inizio di quest'opera ci eravamo rimessi alla vulgata corrente negli studi degli storici locali ovvero “Altopiano dalle ampie propaggini[1]”.
Ci spiaceva, dovere portare la nostra eresia “anti-preistorica” alle estreme conseguenze. Gli amanti della tesi preistorica ci sono simpatici.
Ora, però, lo diciamo: il toponimo non ha quel significato, ma ben altro. E molto più coerente con i luoghi e le loro caratteristiche tanto storiche quanto ambientali. 
Chi è stato nel bosco di Malabotta ha certamente notato la grande quantità di muschi[2] attaccati a massi o a pluricentenari alberi di roverella. Chi è stato sul pianoro di Argimusco non può non avere osservato la foresta di felci ivi presente. 
Muschio in latino si diceva “muscus”, in catalano “musgo”. In greco “muschio” si diceva “Bryon”. La felce si diceva in greco “pteris”.
Cosa hanno in comune felce e muschio? Che appartengono alla stessa famiglia di piante del genere Lycopodium. Leggiamo cosa scriveva il Marchi nel 1828: “Briotteride, Bryopteris, stor. Nat. Da “Bryon”, musco, e da “pteris”, felce. Specie di piante del genere Lycopodium[3], le cui piante sono sopra loro stesse rivolte come quelle delle felci”[4].
Dunque, sia felce che muschio appartengono alle piante Briotteridi[5]. Anche se volessimo non forzare troppo la mano abbandonando l'accostamento della felce con il muschio, non potremmo non notare che il toponimo di Argimusco è indicatore della presenza catalana sul sito e nei paraggi.
“Argimuscus”, dunque, sarebbe stato il nome latino e “Argimusgo” avrebbe dovuto essere il toponimo in pronuncia Catalana.
Nel 1282 ricordiamo che Pietro III d'Aragona passò dai luoghi chiamando il sito “Argimustus” (il Re e il suo seguito non notarono, singolarmente, alcuna struttura megalitica o di statue...)[6].
Argimustus, dunque, fu poi mutato nel giro di pochi anni in “Argimuscus” già nella sopraccitata lettera di Federico III a Giacomo II del 16 luglio 1308.  
Il termine Argimustus (con la t), dunque, potrebbe essere stato o un errore di Bartolomeo di Neocastro o un errore di qualche successivo scrivano che non avrebbe saputo copiare bene il termine latino Argimuscus.
Tanto precisato, cosa vorrebbe dire il termine “Argi”?
Abbiamo visto che il termine richiama il personaggio principale, Argio, del sonetto Carlo V del Santinelli che, guarda caso, presenta Arnau de Vilanova, in un ambiente molto simile all'Argimusco e alla vicina Montalbano.
Argio ci può aiutare? Vediamo.
La figura di Argio, come si è detto, nasconde il Santinelli. Egli compare fin dall'inizio del poema nella sua carica di “cameriere segreto” e nella sua qualità di “filosofo ermetico”: “Frettoloso comparve il saggio Argio che l'uscio Imperial chiude ….”. Il nome Argio è un chiaro riferimento al periplo degli Argonauti che vela il suo periplo alchemico[7].
Argi - Deriva dal greco antico  άργος (argos), che significa sia "splendente", che "luccicante". Il termine è etimologicamente correlato al nome Argia (Argio)[8].
Cerchiamo ora di capire. Il termine “splendente”, “luccicante” ha nulla a che fare con l'Argimusco o con le, da noi supposte, pratiche alchemiche?
Per capirlo, torniamo al tema dei metalli. Per fare questo ci riferiamo brevemente a testi di due autori, Evola e Kircher, che ci hanno spiegato il vero senso dell'Oro alchemico. 
“La produzione dell'oro metallico, non era né un fenomeno sensazionale né un'acquisizione scientifica. Si trattava invece della produzione di un “segno”. E' ciò che il cattolicesimo chiamerebbe propriamente un miracolo, in opposto al fenomeno; ancor meglio ciò che il buddismo chiama “miracolo nobile” in opposto a quelli volgari, i quali perfino quando sono fenomeni estranormali, non incorporano alcun significato superiore. La produzione dell'oro metallico era cioè una testimonianza trasfigurante data da un potere: testimonianza dell'aver realizzato in sé, l'Oro.  Senonchè con il diffondersi dell'alchimia in Occidente queste conoscenze subordinate si separarono dal resto e si disanimarono. E il desiderio e la cupidità per l'oro puro e semplice, per l'oro spendibile, fecero il resto. E così che nacque quell'alchimia che può essere considerata come lo stadio infantile della chimica scientifica. (…)”[9].
E ancora: "Dice il volgo nella Turba[10]:”il nostro Oro è il Sole, il Sole luminoso, che riscalda, altera, corrompe, putrefa, digerisce, genera, rarefa, scioglie, illumina le altre stelle”, e ancora:  (…) La Turba proclama: “il nostro Oro può essere moltiplicato all'infinito”[11]
“Le corrispondenze simboliche: Anima=Solfo (o Fuoco, o Sole, o Oro); Spirito=Mercurio (o Acqua o Luna o Argento); Corpo=Terra (o Sale) sono esplicite e uniformi nei testi ermetici[12] e non si comprende proprio il nessun conto che di esse ha tenuto la critica moderna”[13]
Abbiamo sentito cosa volesse dire il termine Oro/Sole per gli alchimisti. Per quale motivo, dunque, la felce o il muschio sarebbero stati, dunque, luccicanti?
Si trattava di rugiada posata su di essi, per come insegnano innumerevoli testi alchemici? Ovvero erano luccicanti in connessione con l'utilizzo alchemico finalizzato alla conquista dell'oro filosofale, per come descritto prima in questo testo?
Per rispondere citiamo, ancora una volta, tra i numerosissimi (e complicatissimi testi alchemici) il Mutus Liber. In esso  viene descritto il Magnum Opus. Il primo livello del processo alchemico, qui riportato in una delle tavole del Liber, prevede la raccolta della rugiada ove le cinque lenzuola stese, si impregnano del pregiato liquido, e l'uomo e la donna provvedono a strizzarlo in una bacinella. Il potente influsso cosmico di cui la rugiada è latrice è simboleggiato dal fascio di lame di luce che proviene da un punto centrale nel cielo, a metà via tra le due polarità, il Sole e la Luna.
La rugiada era, dunque, latrice di un influsso cosmico rappresentato con raggi di luce. La rugiada, posata sulle felci e sul muschio, rendeva, dunque, luminose le felci o i muschi irrorati, al mattino.
La luccicante rugiada, colta con le lenzuola al mattino nel Mutus Liber, era, dunque, la stessa che oggi ci appare all'esame logico e semantico del significato del toponimo connessa con la presenza culturale alchemica ipotizzata sul sito di Argimusco?
E' molto probabile. Tale asserzione viene suffragata tanto dalla contestuale presenza di indiscutibili simboli alchemici quali il salnitro, la civetta, l'alambicco e il pellicano, quanto dal fatto che nella cultura dell'epoca “l'alchimia era l'astrologia del sottoterra”: e l'Argimusco era innanzitutto, e rimane, se non il più importante, uno tra i più grandi siti astronomico-astrologici al mondo. 
Dunque, Argimusco letteralmente significherebbe: “muschio (o felce) luccicante”. 
Se ora rimettiamo insieme tutte la massa di scoperte documentali e storiografiche sulle tecniche medico- astrologiche e alchemiche illustrate in questo testo, la spiegazione da noi data al toponimo prende una sua lucida e inoppugnabile coerenza. 
Per questo motivo non abbiamo voluto anticipare all'inizio dell'opera la rivelazione sul significato del toponimo.
Vogliateci perdonare. Questo lungo e estenuante viaggio ci ha condotto, infine, alla stessa voce, al verbum di partenza, da cui siamo partiti, Argi-Musco.
Nomina sunt consequentia rerum. Amen.
PAUL DEVINS & ALESSANDRO MUSCO

….E IL TOPONIMO “MALABOTTA”?
Il sito di Argimusco era all'epoca parte del demanio reale?
Un documento, dotato di epistola di ratifica da parte di Papa Innocenzo III del 17 giugno 1211, attesta che “Montalbano con tutti casali e tenimenti suoi”, per disposizione di Federico II di Svevia, era entrato a far parte del “dodario” (la dote) della moglie Costanza d’Aragona e, come tale, apparteneva al demanio regio, sotto il controlIo diretto della corona[14]. Certamente faceva, dunque, parte del demanio regio di Montalbano anche il bosco di Malabotta, riserva di caccia, e la importante strada che ivi vi passava. 
Abbiamo notizie di un passaggio di là da parte del Re aragonese Pietro III[15]. Suo figlio Federico III ivi vi trascorreva l'estate: da lì, ricordiamo, nel mese di luglio 1308 Federico aveva mandato un importante documento diplomatico a suo fratello Giacomo II.
Il re Federico III, dunque, possedeva qualche fortilizio, ove risiedeva, nei dintorni dell'Argimusco. Riteniamo che, con ogni probabilità, si trattasse del Castellaccio, oggi ridotto a rovina, ed individuato da Ferdinando Maurici. Il Castellaccio si trovava in effetti lungo la strada che conduceva da Montalbano, via Argimusco, a Santa Domenica Vittoria e poi a Randazzo, sede di altro palazzo reale e da cui iniziava l'antica strada romana per Palermo. Dal Castellaccio il Re si muoveva per andare nel bosco di Malabotta ove andava a caccia[16], per come dice la tradizione locale[17]. Non dimentichiamo che, come ulteriore riparo dalle intemperie, il Re poteva disporre anche della torre fondaco medievale sita proprio dirimpetto all’Argimusco. Lo stesso termine catalano da cui deriva il toponimo Malabotta, secondo noi, indicava il clima spesso ventoso e non sempre clemente dei luoghi. 
“Malabotta”, secondo noi, è un nome derivante dal catalano Bot, uno dei Comuni della Comarca (contea) della “Terra Alta” nella provincia di Taragona in Catalogna. Il nome ricorda l’altezza del sito grazie all’appartenenza alla Terra Alta catalana, mentre l’aggettivo stava ad indicare la temperatura spesso poco mite dei luoghi, che d’altronde indusse i Catalani ad abbandonare il fortilizio del Castellaccio ivi sito. Tutt’oggi il sito è spazzato da venti impetuosi, con temperature invernali spesso decisamente continentali.
Come ogni re medievale anche Federico adorava la caccia. Dal suo predecessore Federico II di Svevia[18] cui deliberatamente, peraltro, si richiamava, e non solo per il suo acceso ghibellinismo[19], assunse il numero III nel titolo reale, ovvero di terzo del Regno di Sicilia dopo lo svevo[20]. Tale nome e il numerale che doveva essere II (in quanto secondo Federico a regnare in Sicilia), è noto, ha causato in non piccola parte la sua sfortuna storica poiché ha sempre determinato la confusione del re aragonese con il più famoso Federico II di Svevia, anche nello stesso paese di Montalbano. Bene, proprio Federico II di Svevia era molto conosciuto per l’arte di cacciare con il falcone.
E come visto, abbiamo già dato la nostra prova che Federico III d’Aragona praticava, proprio negli anni della presenza di Arnau de Vilanova a Montalbano, quella pratica venatoria. Ricordiamo che il famoso capitan di ventura trecentesco Ramon Muntaner fece visita, oltre che, come già visto, nel 1309, anche nel 1312 a Federico in Montalbano. In quest’ultimo caso al fine di regalargli due falconi[21]. Sentiamolo dalla sua voce: “...E axi partent de Maho fuy en Sicilia, e pres terra a Trapena, e a Trapena yo pose ma muller, e ab la galea anemen a Masina e trobe, quel senyor rey era a Montalba en un lloch que ell esta volenters destiu, e aço era en iuliol; e yo ane lla e done los dos falcons al senyor rey, quel senyor infant en Ferrando li trametia...”.  
Dunque, il bosco di Malabotta al cui interno si trova l’Argimusco è, secondo noi, un ulteriore prova della demanialità del sito dell’Argimustus, in quanto era riserva di caccia reale per la caccia con falcone. Per questo fu rinominato, in parole catalane, per come oggi ancora suona.
PAUL DEVINS & ALESSANDRO MUSCO

CONSIDERAZIONI FINALI
Dicevamo che il nostro viaggio è ora veramente giunto al termine. 
Abbiamo scoperto il senso e la funzione medico-alchemica dell'Argimusco, attivata per il tramite di un vero e proprio "Specchio delle costellazioni sulla terra", per "come in cielo così in terra". Costellazioni riprodotte secondo il canone arabo medievale, per come documentato nei nostri studi.
Abbiamo spiegato il senso dei megaliti/statue dell'ingresso, non stereotipi sessuali ma simboli tipici dell'ambiente alchemico cristiano medievale.
Abbiamo ancora rivelato con quali tecniche di diagnosi e di terapia medica, basate sull'osservazione della luna e delle stelle, l'ideatore utilizzava il sito tramite alcune tacche incise sui megaliti, il sestante arabo di pietra, la vasca per le sanguisughe e, abbiamo detto, a mezzo della sfera di Pitagora e dell'astrolabio. 
Abbiamo detto del simbolo templare presente sul sito di Argimusco come di due chiese a Montalbano di chiara impronta architettonica romanico-catalana, con ogni probabilità dedicate ai Beghini. Quel progettista simpatizzava, così come per i templari anche per quei Beghini da lui fatti accogliere alla corte aragonese di Montalbano. 
Abbiamo trattato della passione per le stelle presente nella corona di Aragona e della passione alchemica e stellare della grande e coraggiosa Regina francescana Eleonora d'Angiò, rivelando come, con una tassa imposta sulla sua Camera Reginale siracusana, Ella segretamente finanziò la realizzazione dello "Specchio delle stelle". Quella stessa Regina che, ritiratasi a vivere in provincia di Catania, viene ancora ricordata nei luoghi come "Stella Aragona", a causa della sua passione per le stelle.
Abbiamo parlato dello straordinario mondo culturale dell'eccezionale personaggio storico che concepì e guidò il grandioso progetto dell'unico specchio delle stelle esistente al mondo: Arnaldo da Villanova. Egli scelse di vivere a Montalbano i suoi ultimi giorni di vita ove fino a poco tempo fa era ancora ricordato, oltre che per un iscrizione nella chiesetta di S.Caterina, nella tricora che ospitò la sua tomba circondata da affreschi con citazioni in arabo e in ebraico del Vangelo. 
Oggi quelle iscrizioni e quegli affreschi sono pressochè distrutti causa l'incuria degli uomini (e non vogliamo parlare della malafede, quella stessa che ha fatto vandalicamente rimuovere i simboli ghibellini dal castello di uno dei più grandi Re ghibellini della storia).   
Sul sito, chiamato ancora oggi Argimusco, sono state di recente impiantate orride pale eoliche al fine della devastazione del paesaggio (e guadagni di multinazionali dell'energia).
Eppure, quel sito già solo dal nome ("Argimusco", abbiamo rivelato, vuol dire "muschio/felce luminosa") dimostra una frequentazione, per come abbiamo documentalmente dimostrato, legata a precise finalità alchemiche, per la produzione della pietra filosofale, quell'oro filosofale che garantiva l'immortalità agli alchimisti.
Parliamo del più grande sogno coltivato dall'umanità fin dai tempi di Gilgamesh o di Alessandro Magno: quello della "immortalità".  
In un unico piccolo paesino della Sicilia abbiamo trovato una serie di "assets" di assoluto primario livello, un gigantesco Specchio delle Stelle in pietra, più uniche che rare chiese beghine/catare, rarissimi simboli alchemici (degni di sconvolgere persino un Fulcanelli) e prove di pratiche tese alla conquista del grande sogno dell'immortalità.
Finito il nostro viaggio, consegniamo queste nostre scoperte all'Italia e agli studiosi nonché alle genti di Sicilia e di Montalbano Elicona, in particolare, perché non consentano più quell'incuria e quei vandalismi, a protezione di un unicum mondiale, patrimonio dell'umanità.  
PAUL DEVINS & ALESSANDRO MUSCO



[1] dal greco "argimoschion" "altopiano delle grandi propaggini", vedi Pantano Gaetano Maurizio, 1994 – Megaliti di Sicilia – Edizioni Fotocolor
[2] Leggiamo la definizione di “musco” sul Sabatini Coletti: “ogni piantina diffusa in luoghi umidi o sul lato dei tronchi esposto a nord, con radici e fusticini ridotti e foglioline che crescono talmente vicine da formare un tappeto di colore verde cupo; il tappeto erboso stesso; E' un termine rintracciabile nel sec. XIV” (il Sabatini Coletti Dizionario della Lingua Italiana su internet).
[3] Sul Lycopodum vedi in “Materia medica chimico-farmaceutica”, Volume 1 Di Giovanni Pozzi Sonzogno 1816 la seguente definizione: ”Lycopodium clavatum (Licopodio, Musco terrestre)” e ancora vedi la “Dissertatio Medica Curiosa, De Musco Terrestri Clavato” di Georg Wolfgang Wedel, Meno Nikolaus Krebsius, 1702
[4] Dizionario tecnico-etimologico-filologico, Volume 1 Di Marco Aurelio Marchi - Pirola 1828
[5] Secondo la nomenlcatura binomia erano “Lycopodium bryopteris Linnaeus” - The Linnaean Plant Name Typification Project - The Trustees of the Natural History Museum, London – http://www.nhm.ac.uk (internet)
[6] “Post haec ex parte illa jussit iter assumi, et dum pervenissent ad locum, qui dicitur Argimustus, jam Melatium, sicut in mare protenditur, insulae Vulcani, Lipariae et Strongylis ardentes conspiciuntur ex altis. Jam montium Phariae monstrantur confinia; satis visa placent, et loca commendnas delectabilia circumspectat; sedes Helenes Tindareae, ubi Virginis hodie sacra domus excolitur, Pactas et quae ante oculos surgunt Castra commendat; et descendens apud Furnarum, ibi residens noctem fecit” - Bartolomeo di Neocastro, ed. G. Paladino, cap. C, pag. 38. Come poterono passare inosservate tali gigantesche statue di pietra ad un re appena arrivato dalla Spagna (1282) per la guerra del Vespro? questa è qualcosa che gli assertori dell'origine preistorica non sanno e non potranno mai spiegare. 
[7] cfr. F. M. Santinelli, Sonetti alchemici e altri scritti inediti, op. cit., pp. 77-79.
[8] Vedi il termine “Argo” su Wikipedia
[9] “...La chimica moderna ne è invece una deformazione, nel senso più rigoroso della parola, alla quale dette luogo, forse a partire dal Medioevo, l'incomprensione di certe persone che, incapaci di penetrare il senso vero dei simboli, presero tutto alla lettera, e credendo che in tutto ciò non si trattasse che di operazioni puramente materiali si dettero ad un più o meno disordinato sperimentare”. Anche queste persone, prese ormai dall'ossessione della fabbrica dell'oro, fecerro qua e là, per caso, delle scoperte e proprio esse sono gli autentici precursori della chimica moderna. Per cui rivela il Guenon non è una evoluzione o un progresso che dall'ermetismo e dell'alchimia iniziatica si giunge alla chimica, ma proprio all'opposto con una degenerescenza...”, vedi “La Tradizione Ermetica” di Julius Evola, Edizioni Mediterranee, 1996, pag 187/88.
[10] Col titolo di Turba Philosophorum (Turba dei Filosofi) ci sono pervenute due opere distinte: le cosiddette Turba latina e la Turba gallica. L'argomento dei testi è l'alchimia; i testi si fanno risalire al tardo medioevo, da un originale arabo.La prima è un’opera latina che si fa abitualmente risalire al XIII secolo, evidente traduzione da un originale arabo. Si tratta di una serie di discorsi, attribuiti ad un certo numero di filosofi disputanti in cui talvolta non si fatica a riconoscere il nome di filosofi della tradizione greca, nella quale si espongono i principi dell’alchimia facendo ricorso ampio alla tradizione cosmologica della filosofia greca. Lo storico della scienza ed orientalista Julius Ruska (1867-1949), che per primo identificò l’origine araba dello scritto, lo collocò dapprima in un ampio arco temporale tra il IX e l’XI secolo. Henry Ernest Stapleton (1878-1962) notò tuttavia che alcuni passi della Turba erano presenti nell’opera di un alchimista arabo del X secolo, Ibn Umail. Solo in seguito, con gli approfondimenti dell’orientalista Martin Plessner (1900-1973), ci si rese conto che il testo della Turba rivelava una coerenza ed unità compositiva, per cui ogni opera che conteneva citazioni e confronti con essa era da considerarsi posteriore. Poiché Ibn Umauil era morto nel 960, si poteva ragionevolmente collocare la composizione della Turba intorno al 900. Plessner ipotizza che essa possa essere la forma in cui ci è pervenuto un Libro delle dispute e delle riunioni dei Filosofi dell’alchimista Akhnim (Panopoli) Uthmàn Ibn Suwaid, attivo proprio intorno al ‘900.
[11] Athanasius Kircher E L'alchimia, Di Anna Maria Partini, Edizioni Mediterranee, 2004, pag. 136,
[12] I “Figli d’Ermete” dichiaravano che (…) solo la loro “Arte” supererà sino ad una perfezione nel Colloquio di Eudosso e di Pirofilo sul Trionfo Ermetico (B.P.C., t. III, p. 243): “Soltanto il Filosofo è capace di portare la Natura da una imperfezione indeterminata ad una superperfezione…Il Saggio deve cominciare con una cosa imperfetta, che essendo in via di perfezione, si trova nella disposizione naturale per essere portata a superperfezione col soccorso di un’arte tutta divina, la quale può superare il termine limitato della natura” (citati da Evola in La dottrina della palingenesi nell'ermetismo medievale (marzo 1930).  Bilychnis 31 (3): 173-190. Ora in Julius Evola, Claudio Mutti (a cura di), I saggi di Bilychnis, 2a ed., Padova, Edizioni di Ar, 1987, pp.96-117. E più esplicitamente, ed uniformemente, affermano che il loro “Fanciullo”, “creatura di quest’Arte Sacra e Regale” — cioè il Rinato — è più nobile, più possente, più grande, dei suoi cosmici genitori, il Cielo e la Terra, il maschio Sole e la femmina Luna (simboli tradizionali e arcaici della dualità cosmica della forza attiva radiante e della Forza demiurgica operante sotto l’impulso della prima, akineton kinoùn e fysis in Aristotile, ous e ousìa in Plotino, purusha e prakrti nella tradizione indù, yang e yin in quella taoista)
[13] “Un figlio di origine più nobile del Padre e della Madre che gli danno l’essere”. Pernety, Dict, mytho-herm., cit., p. 136: “Questo Fanciullo, secondo essi, è più nobile e più perfetto di suo padre e sua madre, benchè sia figlio del Sole e della Luna e la Terra sia stata la sua prima nutrice”. D’Espagnet lo chiama “Fanciullo regale dei Filosofi, più importante dei suoi genitori, e il cui scettro e la cui corona saranno comunicati ai suoi fratelli” – altri rettifica in “potenza sovrana su tutti i suoi fratelli”. “Fanciullo ermafrodito nato da vergine, fonte di una razza di Re potentissimi” (Dict., p. 522). Nel De Pharmaco Cattolico (III, 13) v’è l’espressione: “Magnipotens, stringente in mano il regno spirituale e quello mondano”, ecc. (citati da Evola in La dottrina della palingenesi nell'ermetismo medievale (marzo 1930). Bilychnis 31 (3): 173-190. Ora in Julius Evola, Claudio Mutti (a cura di), I saggi di Bilychnis, 2a ed., Padova, Edizioni di Ar, 1987, pp.96-117.
[14] Anche per questo Federico II di Svevia deportò i cittadini di Montalbano (insieme a quelli di Centuripe) ad Augusta: anche i sudditi erano beni regi per l’imperatore tedesco che al di là della successiva mitologia non si dimostrò certo un sovrano illuminato nelle repressioni e deportazioni condotte a danno della Sicilia.
[15] Nel 1282 Pietro III d’Aragona, I di Sicilia, padre di Federico III, dovendo recarsi da Randazzo a Messina, raggiunse il «locum qui dicitur Argimustus», e da qui «descendens apud furnarum, ibi residens noctem fecit». Pietro III d’Aragona, inoltre, guardando il panorama dall’alto dell’Argimusto ammirò la «sedes helene tindaree, ubi virginis hodie sacre domus excolitur», ovvero ammirava Tindari ove già allora insisteva il santuario.
[16] Il bosco è, tuttora, popolato da molte specie di uccelli, tra i quali cincie, fringillidi, merli, l’occhiocotto, il colombaccio, numerosi rapaci stanziali tra cui il falco pellegrino (Falco peregrinus), la poiana, il gheppio e l'allocco. Inoltre, ancora nel bosco vivono la volpe, il più grande mammifero predatore superstite in Sicilia, il coniglio selvatico e l'endemico toporagno siciliano (Crocidura sicula).
[17] In un opuscolo dell'Azienda Regionale Foreste Demaniali, more solito, si confonde Federico II di Svevia con Federico III d'Aragona: si dice, infatti, che nel bosco di Malabotta vi andava a caccia Federico II di Svevia, che, invece, certamente mai passò dai luoghi.
[18]    È notissimo il testo di Federico II di Svevia “De arte venandi cum avibus”: per paradosso storico il manoscritto è conservato alla Biblioteca Vaticana (codice Pal. Lat. 1071)
[19] Sul tema del ghibellinismo medievale vedi Rivolta contro il Mondo moderno di Julius Evola, Mediterranee, 1969, pag. 331 e ss
[20] Ancora sul ghibellinismo di Federico III è interessante notare che forse il più virulento attacco alla Corona Aragonese venne proprio da un notissimo alchimista, Jean de Roquetaillade o Giovanni da Rupescissa. Egli francescano proveniente dalla terra di confine francese dell'Aquitania e acceso anticatalano scrisse nel 1349 un libro, il Liber Secretorum Eventum, in cui descrisse le sue esperienze visionarie avute in prigione allorchè incarcerato, tra mille supplizi per anni, dall'Inquisizione. Nel libro si fa il nome dell'Anticristo basandosi su un ragionamento matematico basato anche sul numero tre. L'Anticristo sarebbe stato l'infante Ludovico II, nipote di Federico III e figlio di Pietro II. In un anedotto appreso da un valoroso prete che sarebbe stato presente in Sicilia al tempo dei fatti Rupescissa apprese che il suggerimento di chiamare Ludovico il figlio, al fine di evitare che questi morisse come gli altri figli, venne da una strega. Rupescissa aggiunge che sommando il valore numerico delle lettere contenute nel nome di Ludovicus risulterebbe il numero 666, il numero della Bestia. L'Anticristo sarebbe, secondo l'achimista aquitano, provenuto dal seme dell'Imperatore svevo Federico II e Ludovico sarebbe stato tale poichè terzo nipote di Federico II: “...de semine Frederici imperatoris depositi et Petri regis Aragonum orietur proximus Antichristus et quod Ludovicus puer rex Trinacrie qui tenet insulam Sicilie ipse est futurus totius seculi generalis monarcha sub quo lugebit Ecclesia sacrosancta Romana..” (citato in  A Kingdom of Stargazers: Astrology and Authority in the late Medieval Crown of Aragon di Michael E. Ryan 2011 pag. 47 e ancora sull'aneddoto pag 73/74).
[21] “…E axi partim dells ab llur gracia, e lo senyor infant en Ferrando lliuram dos falcons montarins gruees qui eren estats del senyor rey son pare, que trames per mi al senyor rey de Sicilia. E anemen a Menorca, e tantost com fuy a Maho ja hi hach missatge del senyor rey de Mallorques, que de part sua, si mi giraua, me fos donat gran refrescament: e si hanch ho mana, be ho compliren sos offlcials. E axi partent de Maho fuy en Sicilia, e pres terra a Trapena, e a Trapena yo pose ma muller, e ab la galea anemen a Masina e trobe, quel senyor rey era a Montalba en un lloch que ell esta volenters destiu, e aço era en iuliol; e yo ane lla e done los dos falcons al senyor rey, quel senyor infant en Ferrando li trametia, e li compte les noues que yo sabia dels senyors de ço de ponent. E puys pris comiat dell, e la sua marce donam del seu em feu molta donor. E ab la sua gracia anemen ab la galea a Trapena, e ab dos barques armades que yo hagui comprades a Masina, e lleue ma muller e anemen a Gerba hon fo feyta gran festa a mi e a ma muller. E tantost donaren de joyes a mi e a ma muller dos mil besants; e aquells dels Querquens axi mateix de llur poder me trameteren llur present. E axi ab la gracia de Deus estiguem en bona pau alegres e pagats en lo castell de Gerba tots aquells tres anys quel senyor rey mauia dats. Mas apres comptar vos he, en qual affany e trebayll torna la illa de Sicilia, e tots aquells qui del senyor rey eren….”, Cap. CCLV. Crònica de Ramon Muntaner - Versione italiana di Filippo Moïsè. Firenze 1844.

Monday, February 3, 2014

IL LUOGO DESCRITTO DA UN SONETTO DEL 1659 E' L'ARGIMUSCO? (TRATTO DA ARGIMUSCO DECODED DI PAUL DEVINS E ALESSANDRO MUSCO, 2013)

FRANCESCO MARIA SANTINELLI “IL CARLO QUINTO” da Sonetti Alchemici Ed. Mediterranee
QUINTO CANTO

...s'incammina ver dove illustre hostello,
signoreggia da un colle alta foresta
ma ne l'entrar del bosco un bianco augello
di sasso adamantino, il piè g'arresta
sta sul pario pilastro in guisa tale
che volar più non puote, e aperte ha l'ale.

Tiene al lacero sen rostro impietrito
e a divorarsi il cor mostrasi intento
un artiglio ch'è d'oro al marmo unito,
sù verde lastra l'altro e è d'argento
mirasi in quel smeraldo alfin scolpito
una fenice al sol sul rogo spento
ch'ha scritto al suo piè: in ogni luogo
al sol rinasco e mi preparo il rogo.

Argio si ferma diligente osserva
le mistiche figure à ciglie immote.
Scorge che sensi arcani in lor conserva
scienza occulta a l'intagliate note.
La fenice, augel, come Minerva
da un'Hermetica mente usciro ignote.
S'avvede ben, che lo scalpel v'impresse
quando turba d'Heroi su i fogli espresse.

Hor mentre a contemplare fissa dimora,
ode voce improvvisa, et ei rivolto,
mira d'età robusta huomo, che all'hora
gli dice: “o tu che sì sereno il volto
scuopre fortuna, e le tue ricche sorti indora
già che il vogliono i Fati, entra nel folto
bosco misterioso, entra, e ti porta
a l'arbore solar, ch'io ti son scorta...

La prima statua che Argio incontra è quella del Pellicano,("a divorarsi il cor mostrasi intento"), mentre la seconda è una statua della Fenice (l'Aquila). Sia il simbolo cristiano del pellicano che quello della fenice (o aquila), rivolta al sole dell'alba della rinascita, sono presenti sull'Argimusco. Queste statue nel sonetto erano poste su un rilievo immerso nelle foreste, ("...signoreggia da un colle alta foresta..."), forse, ricordo dei boschi prima diffusi sui luoghi, e vicino ad un "illustre hostello": certamente il castello di Montalbano poteva essere definito un illustre castello avendo ospitato uno dei più grandi re del medioevo, Federico III d'Aragona. 
Il personaggio che interviene nel finale è Arnau de Vilanova per come poi si scoprirà nel canto XIII. Egli viene definito nel sonetto "mente Hermetica": ricordiamo che lui stesso si auto-definiva "Filius Hermetis". Arnau è il creatore delle statue e il custode dei luoghi. Il riferimento alla turba d'Heroi è alla "turba philosophorum", ovvero all'eroico sforzo per la ricerca della pietra filosofale da parte del filosofo alchimista. Turba di cui parla anche Arnau nel Rosarium Philosophorum e nel Libro del Perfetto Magistero1. Dal sonetto deduciamo che per vie di tradizione orale all'interno di sodalizi alchemici, forse, il ricordo di un rapporto tra Arnau, quei luoghi e le due statue è giunto al Cenacolo di Cristina di Svezia di cui faceva parte il Santinelli. Certo era andato perso il ricordo delle tecniche di medicina astrologica che avevano condotto alla realizzazione delle enormi statue megalitiche da parte di Arnau. Quelle tecniche erano state dimenticate già a partire dall'epoca rinascimentale, cioè da 200 anni almeno.
Per non dire dell'oblio sceso sulla terra di Sicilia...! L'Argimusco è da tempo scomparso dalla coscienza collettiva e quei pochi oggi attratti dal fascino dei luoghi, non riuscendo a spiegare il senso del sito, hanno ipotizzato lontane origini preistoriche (10.000 anni prima di Cristo (Sic!) per fini legati alla riproduzione e alla sessualità o utilizzi magici... niente di più lontano dalla mentalità rigidamente evangelica (beghina) di Arnau! Arnau prescriveva, invece, atteggiamenti di intransigente moralità ad Eleonora d'Angiò nella sua Informació espiritual per al rei Frederic nonché condannava senza appello maghi, esoteristi e altri simili ciarlatani nella sua opera Epistola De Reprobacione Nigromantice Ficcionis2.  

PAUL DEVINS & ALESSANDRO MUSCO

1 Arnaldo da Villanova “Il Libro del Perfetto Magistero”, prima traduzione italiana, SeaR Edizioni, la biografia di Arnaldo pag. 69
2Nos in lingua arabum legisse recolimus totam nigromantie fatuitatis doctrinam” Juan A. Paniagua, El Maestro Arnau de Vilanova mèdico, Valencia, Catedra de Historia de la Medicina, 1969, p. 70 e nell' Epistola De Reprobacione Nigromantice Ficcionis in appendice

ELEONORA D'ANGIO', LA REGINA FRANCESCANA FINANZIATRICE DELL'ARGIMUSCO? (TRATTO DA ARGIMUSCO DECODED DI PAUL DEVINS E ALESSANDRO MUSCO, 2013)

Per tracciare i tratti più salienti della vita di questa grande regina ci riferiamo principalmente al Kiesewetter. Per tutte le considerazioni sul personaggio e sul suo rapporto con la politica del tempo rimandiamo al pregevole studio di Francesco Costa qui citato in nota. 
Eleonora d'Angiò, nacque a Napoli nel 1289, ottogenita (e terza figlia femmina) di Carlo II d'Angiò, re di Sicilia, e di Maria d'Ungheria1. Come lei, fervente francescana, sua figlia, Caterina, e le sue nipoti, Costanza e Bianca, figlie di suo figlio Pietro II, si rinchiusero nel monastero delle Clarisse di Messina. La figlia ne divenne l'abbadessa. Vale la pena dire che lo zio di Eleonora era S. Luigi IX re di Francia e patrono dei Terziari francescani, un’altra zia era la principessa Margherita d’Ungheria, mistica francescana notissima all’epoca, e il fratello di Eleonora era S. Ludovico vescovo di Tolosa anch'egli totalmente preso da Francesco. La fortissima fede religiosa associata alla pratica francescana della povertà e della penitenza accompagnò per tutta la vita Eleonora. Per sua stessa disposizione ella volle essere seppellita in una chiesa da lei dedicata a san Francesco a Catania, S.Francesco all'Immacolata. In tutta la vita si prodigò in opera di beneficenza e donazioni a favore dell'ordine francescano,per tutti e tre gli ordini in cui era costituito.
Dal 1319 risultava operante a Messina una comunità di terziari francescani che nel 1291 avevano eretto e tutt'ora gestiva un fanale per far luce alle navi in transito sullo stretto e per assistere i naviganti scampati a naufragi.
Il papa Clemente V aveva concesso ad Eleonora e a Federico la grazia di potere entrare nel monastero delle Clarisse a Messina, per andare a trovare la propria figlia oltre che le nipoti, purchè non si fermassero a mangiare. I francescani del primo ordine furono i preferiti della regina. Nel 1318 Eleonora nominava suo cappellano ed elemosiniere il Minorita fr. Eleazaro2. Come ad un altro minorita Giovanni Campolo da Messina la stessa diede l'incarico di tradurre in volgare i Dialoghi di Gregorio Magno, di cui gli aveva segnalato la necessità della traduzione proprio Arnau de Vilanova3.
Una particolare attenzione è stata posta da Federico ed Eleonora al monastero delle Clarisse di Messina. Esso era stato fondato dalla madre di Federico, Costanza d'Aragona. Nel 1310 Federico chiese al Papa l'assistenza religiosa dei frati minori per lo stesso monastero. Clemente V accettò chiedendo al ministro provinciale di mettere il monastero sotto la sua guida. Nel 1322 il papa Giovanni XXII confermava i privilegi elargiti dagli altri Papi al monastero, su specifica richiesta di Eleonora. Come detto Eleonora si battè in prima persona anche al fine dell'erezione della Chiesa dedicata a Francesco all'Immacolata a Catania. RImandiamo all'attenta narrazione del Costa per i dettagli sulla vicenda, oltre che per i rapporti tra Eleonora e gli spirituali francescani, tra i quali ricordiamo, rientrava il suo maestro Arnau de Vilanova4.
Nulla si sa dei primi anni di vita di Eleonora, che presumibilmente trascorse nei castelli regi di Napoli. La prima concreta informazione è del 1300, quando Bonifacio VIII scioglie la promessa di matrimonio contratta con Philippe de Toucy. In una lettera del 27 febbraio del 1300 Filippo Minutolo, arcivescovo di Napoli, venne incaricato dal Papa di indagare al riguardo. Si appurò che la principessa, all'età di dieci anni, aveva formulato una promessa di matrimonio di fronte a Bartolomeo da Capua e al camerlengo Jean de Montfort. Il pontefice ordinò di sciogliere immediatamente Eleonora da questa promessa.
Ai primi del 1302 si parlò di un matrimonio di Eleonora con Sancio, secondogenito del re Giacomo I di Maiorca, un progetto che non andò in porto.

La pace di Caltabellotta, stipulata il 29 agosto 1302 dopo il non buon esito della campagna di Carlo di Valois e Roberto, duca di Calabria, contro la Sicilia, stabili che, per sigillare la pace, Eleonora sarebbe andata in sposa a Federico III (II) d'Aragona, dal 1296 re dell'isola di Sicilia. Questi sarebbe stato riconosciuto re vita natural durante col solo titolo di re di Trinacria. La partenza di Eleonora per la Sicilia, ritardò sino alla primavera del 1303, perché le precoci mareggiate invernali avevano distrutto la flotta allestita per il viaggio. Il 25 marzo 1303 Eleonora parti alla volta di Reggio, dove giunse il 13 maggio. Il suo seguito era composto dal fratello Giovanni, futuro conte di Gravina, da Pietro Ruffo, conte di Catanzaro, da Ruggero Sangineto, conte di Corigliano, dal vescovo Giovanni di Ravello e da tutta la corte angioina. La futura regina di Sicilia aveva per dote una grande quantità di gioielli. All'arrivo Eleonora fu accolta con entusiasmo a Messina, dove era stato costruito un nuovo molo in suo onore. Fino alle nozze soggiornò nell'ospedale gerosolimitano di Messina.
Il 26 maggio 1303, giorno di Pentecoste, Eleonora, sontuosamente vestita, fu condotta alla cattedrale di Messina, dove l'arcivescovo celebrò le nozze5. I festeggiamenti si susseguirono per due giorni, al termine dei quali il seguito di Eleonora fece ritorno a Napoli, per espresso ordine di Carlo II. Federico ed Eleonora partirono per Palermo. Le fonti tacciono sui primi anni di matrimonio. Probabilmente Eleonora accompagnava il re nei suoi viaggi per l'isola.
Nel 1304 nacque la primogenita, Costanza, futura regina di Cipro e d'Armenia. Il 14 luglio 1305, invece, vide la luce a Palermo il primo figlio maschio, che in onore del nonno paterno fu battezzato Pietro (il futuro Pietro II).
Il 28 agosto 1305, il momento che abbiamo visto è stato la chiave per la nascita del sito di Argimusco: in segno di festa per la nascita dell'erede al trono, Federico diede a Eleonora, in appannaggio e patrimonio, il castello e la terra di Avola, con la relativa giurisdizione civile e penale.
Questa donazione rappresenta una pietra miliare nella storia costituzionale siciliana, in quanto costitui il primo nucleo della Camera delle regine di Sicilia che durò poi fino al 15376.
Negli anni successivi Eleonora ricevette in appannaggio dal suo consorte anche le città di Siracusa (1314), Lentini, Mineo, Vizzini, Paternò, Castiglione, Francavilla e i casali della Val di Stefano di Briga. Per queste donazioni essa dovette rendere omaggio e prestare servizio feudale al re Federico.
Eleonora esercitò direttamente poteri di amministrazione della Camera, esercitando poteri sovrani sulle sue terre.
Il 28 maggio 1308 nominò, con un diploma emanato a Palermo, un capitano e vicario per i suoi possedimenti di Avola, Calcerando de Vergnea, delegandogli esplicitamente la giurisdizione penale. Fu costui secondo noi a predisporre il trasferimento delle risorse ad Arnau, risorse poi utilizzate per la realizzazione dell'Argimusco.
Con quelle risorse Eleonora voleva ricompensare Arnau per le attenzioni date, anche con i libri già citati7, al consorte e al regno nonché per le raccomandazioni di morale evangelica date alla stessa Eleonora.
Ricordiamo che nello stesso anno, 1310, Arnau aveva da poco finito, a Montalbano, la Informaciò espiritual al Rei Frederic de Sicilia. Come già visto, in esso Arnau si rivolge alla regina Eleonora raccomandandole di non avere letture mondane, di organizzare gruppi religiosi e di essere un esempio di santità per i suoi sudditi.

In cambio la regina gli regalò il tabernacolo di legno8 e costruì, per lui, le Chiese di Spirito Santo e di Santa Caterina d'Alessandria, quest'ultima poi ridedicata nel 1344 alla patrona degli alchimisti, quale corrispettivo della direzione e concessione lavori per una grande opera (Magnum Opus). Il fine doveva essere, lo abbiamo già ipotizzato, il progetto di Arnau di realizzare sul sito di “Argimustus” una sorta di grande talismano di pietra al fine della medicina astrale per la cura del corpo del re e per la salute della famiglia reale nei tempi nefasti della imminente apocalisse. Il progetto di Arnau, ipotizziamo, che possa essere stato appoggiato con entusiasmo da Eleonora anche grazie all'influsso esercitato su di lei dalla passione alchemica di suo fratello Roberto re di Napoli, con cui, peraltro, Arnau era in rapporto epistolare e diplomatico9. Tanto Eleonora lo appoggiò che mise a disposizione il patrimonio della Camera Reginale siracusana, rectius la presunta accondiscenza di quelle genti al pagamento del “donativo forzoso”, al fine di garantire la segretezza dell'opera. Non è un caso, come visto sopra, che i rimaneggiamenti e la ridedicazione a S. Caterina della omonima Chiesa siano stati effettuati un anno dopo la morte della Regina. Tale era il legame di affetto che legava la discepola Eleonora con Arnau che, lei viva, il nipote non avrebbe mai potuto effettuare le modifiche che oggi vediamo.
Nell'amministrazione della Camera Eleonora mostrò grandi doti di equilibrio e saggezza.
Nell'amministrazione della Camera Eleonora mostrò grandi doti di equilibrio e saggezza. Altrettanta saggezza dimostrò nel discreto consiglio e influenza politica sul regale marito.
Ricordiamo che nell'ottobre 1309, nei Capitoli di Piazza, il re promulgò una legge che prevedeva, tra le altre cose, l'apertura di scuole per maschi e femmine. Nel Rinascimento l'istruzione femminile veniva ancora considerata un inutile perdita di tempo e tutt'ora 58 milioni di bambine nel mondo non hanno accesso all'istruzione, per non dire, poi, degli stati confessionali talebani di oggi.
Nei successivi 48 capitoli stabilì anche il valore giuridico della deposizione delle donne nella compravendita di immobili, una specie di rivoluzione nel campo dei diritti civili e della non discrimazione sessuale antesignana delle legislazioni del 1900. I capitoli sono stati, evidentemente, influenzati dall'insegnamento di Arnau a corte nonchè dal carattere di Eleonora d'Angiò.
Nel 1323 un commerciante di nome Antonio Maniscalea si rivolse alla regina per chiedere una riduzione del dazio: aveva dovuto pagare 65 once di dazio per l'esportazione di gallette attraverso il porto di Siracusa, ma durante il trasporto la merce era stata danneggiata. Con un diploma del 28 luglio 1323 Eleonora dispose una verifica dei danni, concedendo al Maniscalea, qualora avesse dichiarato il vero, una riduzione di 1 oncia e 15 tari su un terzo della merce perduta.
Nel 1324 Eleonora ricevette le lagnanze della città di Siracusa sulla validità dell'elezione di Perillo Arezzo a konsul maris e di Rogerio Aprile a iudex. D'intesa con Federico III, Eleonora confermò le nomine. Dispose tuttavia che le elezioni e le estrazioni a sorte per la nomina a cariche cittadine avvenissero alla presenza di un commissario regio. Questi immediatamente dopo, avrebbe dovuto recarsi personalmente dalla regina a prestare giuramento sul Vangelo e ricevere nelle proprie mani i documenti regi di conferma degli eletti.
Tutti questi esempi indicano la tendenza, da parte di Eleonora, a gestire direttamente l'amministrazione dei suoi possedimenti.
Tuttavia Federico preservava attentamente i suoi diritti, soprattutto per quanto riguardava l'importante città di Siracusa; solo col suo consenso, nel 1335, Eleonora poté nominare Niccolò Grillo castellano di Siracusa10.
Dopo la ripresa della guerra tra Roberto d'Angiò e Federico III, nel 1312, Eleonora iniziò a svolgere un ruolo importante anche in politica estera quale mediatrice tra la monarchia angioina e quella aragonese.
Nel giugno del 1312 suo cognato Giacomo II, re d'Aragona, inviò ad Eleonora, una lettera in cui la pregava di dissuadere Federico dall'allearsi con l'imperatore Arrigo VII, poiché una simile decisione avrebbe potuto provocare una frattura con la Chiesa e ostacolare l'occupazione aragonese della Sardegna. Il tentativo di mediazione fallì.
Allo scoppio del conflitto tra Federico III e la Chiesa, fu il Papa a prendere l'iniziativa, chiedendo a Eleonora, in una lettera del 1º agosto 1314, che essa cercasse di indurre Federico a riconciliarsi con suo fratello Roberto.
Anche questa mediazione fallì.
Nel frattempo Eleonora aveva dato alla luce un altro figlio maschio, Manfredi, in onore del suo antenato svevo, che però mori quasi subito. Nacque poi Guglielmo, futuro conte di Randazzo. All'inizio dell'estate del 1317 si aggiunse un altro figlio maschio: Giovanni, futuro duca d'Atene e di Neopatria. Infine, l'8 maggio 1318 nacque a Mazara del Vallo un quinto bambino, che fu battezzato Ruggero, a richiamo della tradizione normanna; anch'egli, tuttavia, morì presto. Federico ed Eleonora ebbero anche tre figlie femmine, oltre alla già citata Costanza: Margherita, deceduta in tenera età; Isabella, futura consorte di Stefano, il secondogenito di Ludovico il Bavaro; Caterina, che entrò nel convento di S. Chiara a Messina e ne divenne l'abbadessa.
Nel 1319 Eleonora ebbe contatti con il Papa Giovanni XXII.
Il 10 e l'11 novembre, con varie lettere, in deroga all'interdetto comminato a tutta la Sicilia il Papa accordò il permesso di assistere alle funzioni religiose, di scegliere liberamente il proprio confessore, di ricevere l'estrema unzione e infine - a cagione della sua debolezza fisica - di mangiare carne, dopo l'imbrunire, nei giorni di digiuno. Queste scarse notizie giustificano l'ipotesi che Eleonora all'epoca soffrisse di qualche malattia.
Il 19 apr. 1322, a Palermo, presenziò all'incoronazione di suo figlio Pietro, associato da Federico al trono di Sicilia. Nel 1325, in occasione dell'attacco sferrato contro la Sicilia da suo nipote, Carlo di Calabria, che saccheggiò e incendiò il circondario di Messina, Eleonora intraprese un nuovo tentativo di mediazione, ma anche stavolta senza risultati: Carlo di Calabria, influenzato dal padre, si rifiutò di riceverla. Nel 1329 papa Giovanni XXII prese l'iniziativa di fare trattare ad Eleonora la pace con Federico. Anche questo tentativo rimase senza esito.
Nel 1332 Eleonora cercò di mediare sul conflitto tra Federico III e Giovanni Chiaramonte il Giovane, tornato da poco in Sicilia dopo essere stato al servizio di Ludovico il Bavaro. Ma neanche stavolta la fortuna le arrise: in una scaramuccia Giovanni feri gravemente Francesco Ventimiglia, suo nemico personale e fiduciario di Federico. Giovanni Chiaramonte, da sempre suo protetto,fu messo al bando da Federico.
Eleonora convinse Giovanni a lasciare la Sicilia al più presto, per non essere condannato a morte come traditore. Nello stesso tempo gli inviò dei messaggi assicurandogli che sarebbe rientrato presto.
Nel 1333 l'ultimo tentativo di pace tra Federico III e il pontefice.
Nella primavera dello stesso anno essa aveva inviato una legazione al papa, che fu accolta onorevolmente, per come Giovanni XXII le assicurava per lettera. L'8 settembre il pontefice le scriveva di nuovo, spiegandole di non volere trattative dirette con lo scomunicato Federico, ma invitando Eleonora a ricondurre il consorte sulla retta via e a fare tutto il possibile per consentire il suo rientro in grembo alla Chiesa e salvare la sua anima dalla dannazione. In cambio, il pontefice prometteva a Federico onori e favori. Questi tentativi rimasero anch'essi infruttuosi.
Lo stesso Kiesewetter osserva che Eleonora, in quanto madre di principi aragonesi, tendeva a difendere le posizioni aragonesi anziché quelle angioine.
Il 25 giugno Federico III mori presso Paternò, presente Eleonora.
Lei provvide a far portare la salma a Catania ove Federico fu sepolto nel duomo catanese. Il caldo estivo impediva il trasporto fino a Palermo. Il testamento nominava Eleonora esecutrice insieme col vescovo di Siracusa, con Francesco Ventimiglia, conte di Gerace, con Raimondo Peralta, gran cancelliere del Regno, e col maestro giustiziere Blasco Alagona.
Dopo la morte di Federico Eleonora acquisì maggiore influenza sulla politica siciliana, giacchè Pietro II non aveva alcun interesse per gli affari di governo. Riusci ad imporre il ritorno del suo protetto, Giovanni Chiaramonte. Egli era al servizio del nemico angioino. Ciò nonostante la magna curia, convocata a Nicosia, lo riabilitò e un diploma di Pietro II del 30 dic. 1337 gli restitui quasi tutto il suo patrimonio.
Elisabetta di Carinzia, consorte di Pietro II, consapevole della debolezza del marito Pietro, cercò di spianare alla famiglia dei Palizzi, da lei favorita, la strada verso le cariche più elevate. Elisabetta riusci a prevalere sulla madre di Pietro, Eleonora: i Palizzi divennero i più stretti confidenti di Pietro e occuparono le posizioni chiave di gran cancelliere e maestro razionale.
Riesplose l'antico contrasto tra i Chiaramonte e i Ventimiglia. Nel 1338 il castellano di Lentini, Ruggero Passaneto, fu accusato di voler rilasciare, dietro riscatto, Francesco (II) Ventimiglia, che era stato affidato alla sua sorveglianza.
Eleonora in persona si recò immediatamente a Lentini cercando di mediare, ma il Passaneto rifiutò di accoglierla nella roccaforte, suo possesso della Camera reginale. Il Passaneto cercò addirittura di cedere la roccaforte agli Angioini.
La crisi fu risolta solo dall'intervento di Blasco Alagona, che intavolò trattative col castellano di Lentini.
Nel 1340 Eleonora cercò di giungere a un accordo con il papa Benedetto XII, successo a Giovanni XXII. Inviò il catanese Guido di Santa e Matteo di Marsala alla corte aragonese nella speranza che Pietro IV facesse da mediatore tra Pietro II e il pontefice. Benedetto XII respinse bruscamente la manovra e dichiarò Roberto d'Angiò legittimo re di Sicilia, esortandolo alla guerra contro Pietro.
Il figlio di Eleonora, il re Pietro II, morì improvvisamente il 15 agosto 1342, a Calascibetta (EN), e fu sepolto nella Cattedrale di Palermo
Il nipote di Eleonora, Ludovico, divenne a soli sette anni Re di Sicilia, sotto la duplice reggenza dello zio, il duca di Randazzo, Giovanni d'Aragona, e della madre, Elisabetta, reggenza che provocò tensione ed instabilità nel Regno. Ludovico risiedette fino al 1347 a Randazzo. E' probabile che la decisione della trasformazione della chiesa di Santa Caterina venne presa, dunque, da Elisabetta di Caringia, nel frattempo (1344), residente a Randazzo.
Eleonora d'Angiò trascorse gli ultimi anni della sua vita indossando per devozione l'abito delle clarisse e vivendo in solitudine e raccoglimento. Il Cagliola11 specificava, in proposito, che non fu mai clarissa ma terziaria clarissa causa la inosservanza della clausura. Essa vestiva l'abito per devozione ma senza professare la Regola12. Visse in una piccola villa, costituita da alcune case terrane da lei fatte costruire con giardino e una grande cisterna, alle falde dell'Etna nel villaggio Guardia dell'antica Malpasso. Singolarmente le case ove visse si trovavano esattamente sulla ideale diagonale nord-sud che parte dal castello di Montalbano, ove Ella aveva vissuto i momenti forse più belli della sua giovinezza.
La grande cisterna del villaggio Guardia era stata fatta costruire dalla regina a beneficio dei contadini del luogo per irrigare le campagne13. La lava ha coperto gran parte di quelle case terrane, salvando solo un vano delle stesse e un elegante “...terrazzina dalla pianta quadrangolare, le cui pareti su tre lati sono arricchite da una serie di sedili in muratura rivestiti da mattonelle in terracotta e formanti come delle spalliere...”, per come scriveva lo scopritore V. Bruno14.
Dalla villa si recava spesso presso i monaci benedettini dell'attiguo monastero di San Nicola l'Arena per conversare o prendere parte ad esercizi di penitenza. Nel casale La Guardia morì all'età di 58 anni il 9 agosto 1343. Per sua disposizione Eleonora venne seppellita nella chiesa di san Francesco all'Immacolata a Catania, da lei fatta erigere sopra il tempio romano dedicato alla dea Minerva15.
L'Argimusco, abbiamo scritto, è una delle tante opere incomplete esistenti in Italia, forse la prima. La improvvisa morte di Arnau non consentì di finire il magnum opus. Si perse il senso dell'opera e l'intero progetto scese nella tomba con lui.
Finì anche il periodo regio di Montalbano, si estinsero le memorie dei testimoni e, in luogo delle armi e delle magie alchemiche dei suoi signori aragonesi, tornò a risuonare lo scampanio degli armenti al pascolo.
Ciò nonostante quello che rimane impressiona anche il visitatore più sprovveduto.
Non si può non restare affascinati dalla bellezza surreale della grande Vergine in preghiera, secondo il canone cristiano16, imponente, avvolta dalle luci del tramonto, nel silenzio secolare delle grandi pietre che la circondano.
La mancata conclusione del progetto lascia sopravvivere ancora un'immagine della grande regina Eleonora, donna grande nelle opere di fede, nella politica di stato17 e nella carità, premiata con una enome statua posta in uno dei siti più affascinanti del pianeta.
UNA REGINA A MALOPASSO?!?
Nel comune di Belpasso, l'antica Malpasso, insiste una piazza intitolata “Stella Aragona”. Il nome sta a ricordare l'antico nome della contrada Guardia di Malpasso, appunto, Stella Aragona18. Come mai questo inusuale19 nome per una contrada di un paesino medievale siciliano?
Durante le celebrazioni della festa dedicata a Sant'Anna, cui è dedicata una piccola chiesetta seicentesca sita nello stesso quartiere, ancora oggi in ogni balcone viene esposto uno stendardo a due colori, una fascia verticale a sinistra colore giallo chiaro, una fascia a destra colore blu. Nella fascia a destra sono in grande evidenza due lettere: una S ed una A.
Starebbero per le iniziali di Sant'Anna o sono il corrispondente delle iniziali di Stella Aragona?
Un indizio che sposta l'interpretazione di S e A da Sant'Anna a Stella Aragona è, appunto, l'uso dei due colori giallo e blu. Come noto, numerosi gigli gialli su sfondo blu costituivano la bandiera della casata angioina20.
La presenza delle due iniziali S ed A su sfondo giallo e blu fanno pensare all'unica possibile “stella aragonese” in qualche modo connessa a quella zona etnea: una regina. L'angioina Eleonora, era diventata, per motivi diplomatici e poi familiari, una regina aragonese: Eleonora aveva poi vissuto per sei anni in quella borgata. Della sua passione per le stelle e le costellazioni, poi, già abbiamo detto con riferimento al finanziamento con la sua Camera Reginale del mega talismano stellare di Argimusco. Da qui, forse, il nome di “Stella d'Aragona” su sfondo colore angioino21.
Secondo noi, la bandiera potrebbe essere il lontano ricordo di un preciso momento storico e di un fenomeno di sincretismo politico in equilibrio tra due diverse casate, una parte rivendicante i diritti del regno e l'altra temporaneamente titolare di quei diritti, in forza della pace di Caltabellotta.
La S e la A, insomma, potrebbero essere traccia del passaggio di una regina la cui pietas religiosa, fu tanto apprezzata dalle genti del luogo da farla quasi elevare all'onore degli altari. Ricordiamoci che la regina fece costruire la Cisterna omonima per scopi irrigui agricoli a beneficio dei contadini proprio della contrada di Guardia.
Altra traccia della presenza di Eleonora potrebbe essere, secondo noi, il culto di Santa Lucia, ancora oggi santa patrona di Belpasso. Si sono perse le motivazioni del culto alla santa siracusana nel paese etneo. La cosa certa è che il culto veniva esercitato in monastero di monaci carmelitani nell'antica Malpasso già nel 1500. Pare che il culto fosse comunque più antico.
Noi abbiamo motivo di ritenere che non può essere una coincidenza che il paese che ha ospitato per sei anni una regina, la cui Camera Reginale aveva sede a Siracusa, abbia scelto quale santa patrona la santa di Siracusa. Come non lo è che il quartiere ove ella abitò si chiamava Stella Aragona. Dunque, il culto della Santa era stato probabilmente portato nel paesino etneo da qualche chierico o prete della chiesa Siracusana o da ufficiali della Camera Reginale che da Siracusa si recavano a Malpasso in visita alla Regina che, non dimentichiamolo, esercitava compiti di amministrazione e giuridizione di tipo reale sul loro territorio.
Chiediamoci ora per quale motivo una Regina, figlia del Re di Napoli e Sicilia e della figlia del Re d'Ungheria, non scelse di abitare nei tanti palazzi reali sparsi per il territorio siciliano in città più grandi e sicure, ma scelse di andare ad abitare gli ultimi anni della propria vita in solitudine, in un luogo pericoloso dal nome Malpasso (Malopasso), ovvero passo cattivo, di briganti (nomen est omen)?
Malpasso si trovava nel territorio di Paternò e il 25 giugno del 1337 ivi, in Paternò, morì Federico III d'Aragona22.
E lì vicino poco dopo si trasferì Eleonora abbandonando la corte Messinese e quella estiva di Montalbano.
Perchè la regina Eleonora d'Angiò scelse di costruirsi modeste casette terranee in quella remota contrada Etnea preferendola ad una delle tante sedi reali che avevano ospitato lei e suo marito nei continui spostamenti lungo il regno23?
Perchè la regina scelse di abitare relativamente lontano dalla Cattedrale di Catania ove era sepolto il marito Federico? A cavallo, con una buona andatura, vista l'età di Eleonora non più giovanissima, sarebbero occorsi per più di 20 km di distanza non meno di tre ore. In carozza sarebbe stata necessaria una mezza giornata buona di viaggio.
E, ancora, se intendeva dimorare accanto al monastero benedettino di San Nicola l'Arena, ove ella si dice andava a conversare, perchè scelse un luogo poco vicino, 3,5 chilometri in linea d'aria, ove realizzare quelle case? Era opportuna questa distanza per una regina di età maggiore di cinquant'anni?
Non crediamo, se vogliamo essere seri, che la collocazione geografica del luogo sulla diagonale nord sud che parte dal castello di Montalbano abbia potuto avere una qualche influenza sulla scelta.
Vi erano, dunque, altri motivi?
Sì, vi erano, secondo noi, alcuni motivi che giustificavano tale scelta.
Uno, ma non il principale, era il fatto che il luogo era sito vicino a molti importanti monasteri della Sicilia medievale: quello di San Leone in Pannachio a 1000 circa sull'Etna, quello di San Nicola l'Arena poco più giù vicino all'attuale Nicolosi, i cenobi dipendenti dai monasteri di Terrasanta di Santa Maria in Valle di Iosaphat e di S. Marco a valle presso Paternò e, infine, il monastero di Santa Maria di Licodia. Tutti questi monasteri erano connessi ad un importante via di comunicazione «quae venit a Messana in Adernionem», che arrivava da Messina e proseguiva per Adrano passando in alto sull'Etna vicino al monastero di San Leone.
Eleonora, abbandonata la provincia di Messina, ove conservava affetti familiari e ricordi, decise, dunque, di percorrere quell'arteria stradale per andare a vivere il resto della sua vita vicino a tanti cenobi.
L'altro motivo, secondo noi principale, era legato alla fortissima fascinazione che esercitava nei circoli francescani dell'epoca e su Eleonora, in particolare, l'esperienza ascetica e mistica della principessa francescana Margherita d'Ungheria. Cosa avesse di speciale Margherita è presto detto.
In primis, era zia di Eleonora per parte di madre; in secundis, ebbe un'apparizione mariana che fece gran scalpore nell'Europa francescana tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo. E dunque?
Il punto è che poco vicino a quelle casette cento anni prima era avvenuta un'altra apparizione della Madonna, oggi dimenticata a beneficio di quelle recenti avvenute ancora lì vicino negli anni tra il 1986 e il 1988.
Ma andiamo con ordine.
Alcuni documenti di epoca normanna, un atto di donazione in particolare, sottoscritto in favore della chiesa di S. Leone de Pannachio, parlano della sopraccitata via montana per la quale da Messina si giungeva in Adernò24. Per “Pannachio”, sembra debba intendersi uno dei conetti avventizzi dell'Etna, oggi Monte S.Leo, nei cui pressi sorgeva la chiesa di S. Leone e l'annesso monastero.
Secondo il White la prima colonizzazione benedettina dell’area meridionale dell’Etna fu senza dubbio la prioria di S. Leone de Pannachio.25 La piccola chiesa era un piccolo edificio sacro fondato sotto i bizantini e dedicato al santo vescovo di Catania, vissuto nella seconda metà del secolo VIII. Essa era stata costruita per assolvere, oltre alle funzioni di natura religiosa, anche a luogo di ricovero e punto di riferimento per i viandanti che transitavano per la vicina via montana, la quale, ripetiamo, metteva in collegamento questi territori con la città di Messina.26
Giovanni d’Amalfi – monaco dell’abbazia catanese – ricevette dal Conte Enrico di Policastro e Signore di Paternò, nel 1137, la piccola chiesa dismessa di S. Leone, insieme ad alcuni possedimenti nei pressi di Rachalena (Ragalna).27 Come bene osserva il Mursia, con la citata oblazione il Conte Enrico si assicurò “un controllo diretto sulla vicina e importante via di comunicazione «quae venit a Messana in Adernionem». Alla prioria di S. Leone nel 1156 Enrico assegnò poi la piccola chiesa, di fondazione bizantina, di S. Nicolò de Arena, con funzione di ospedale per i monaci infermi e avente probabilmente funzione, “di punto di riferimento per i viaggiatori, che percorrevano la strada già costeggiante S. Leone, la quale poi procedeva verso il monastero di S. Giovanni di Paparometta di Fleri e ancora alla volta dell’altro monastero di S. Andrea super Mascalas28.
Orbene, la cisterna della nostra regina si ergeva, e ne sono oggi visibili i resti, proprio accanto alla citata strada regia che scendeva dal monastero di San Leone, passando poi dal monastero di San Nicola l'Arena. Ancora oggi, percorrendo quella strada, in alcuni punti dotata di alti muri di pietra a secco, si può verificare come essa, costeggiando il torrente oggi scomparso di Piscitello, collegasse il quartiere Guardia con l’antico abitato di Malpasso.
Dopo avere esaminato l'aspetto logistico dei collegamenti vediamo la ragione più importante che ha determinato, secondo noi, il trasferimento della regina in quei luoghi.
Malpasso fu menzionata per la prima volta in una carta del 1305 attualmente conservata negli Archivi Vaticani in cui è scritto: “Santa Maria del Passo in territorio di Paternò nelle vicinanze di Valcorrente29. Inizialmente il toponimo era dovuto alle caratteristiche della zona: “Passu”designava una zona in cui vi era un frequente passaggio, mentre il prefisso “Malu”, poi aggiunto, indicava o la caratteristica negativa del luogo pericoloso e disagevole (da “Malus”) o, probabilmente, la presenza di alberi di mele (da “Malum”)30.
Nel XIV secolo, sembra fosse molto popolare nel territorio il culto della Madonna, grazie alla presenza di una cappella costruita in ricordo di una apparizione avvenuta nel 123531.
Gli abitanti del luogo veneravano la Madonna della Guardia, ovvero la Madonna che guarda, protegge il passo nel tragitto. E', dunque, probabile che il culto della Madonna della Guardia sia legato a quella antica apparizione avvenuta lungo la strada regia che passa dal borgo omonimo. Esiste ancora una tradizione orale del fatto che nel XIV secolo fosse preservato un quadro, probabilmente relativo all'apparizione, custodito nella vecchia chiesetta ove la regina Eleonora d'Angiò andava a pregare quando da Paternò32 si spostava col suo seguito fino alle case terrane di Malpasso.33
Abbiamo detto che la fortissima fede religiosa associata alla pratica francescana della povertà e della penitenza aveva accompagnato tutta la vita di Eleonora.
Ricordiamo che lo zio di Eleonora era S. Luigi IX re di Francia nonché patrono dei Terziari francescani e il fratello di Eleonora era S. Ludovico, vescovo di Tolosa, anch'egli totalmente preso da Francesco. Ma vi è di più. Una zia di Eleonora d'Angiò, Margherita d'Ungheria, era diventata famosa34, nell'Europa dei penitenti e riformatori francescani, per la coerenza e rigidità della vita ascetica condotta nonché a causa dei vari miracoli a lei attribuiti prima e dopo la morte. Uno dei fenomeni sovrannaturali riconnessi alla leggenda di Margherita era stata un'apparizione mariana, avvenuta esattamente nell'omonima isola di Margherita a Budapest, già isola delle Lepri, luogo poi dedicato a lei proprio in ricordo di quella famosa apparizione.
In sintesi, poco tempo prima della sua morte, la Vergine le era apparsa in sogno. La Madonna era in piedi su un carro. Si rivolse a Margherita così dicendo: “Io ho esaudito la tua preghiera. Sii forte e fedele, io sarò il tuo sostegno” . Poco tempo dopo arrivò la morte prematura di Margherita ancora solo ventinovenne 35.
Dal suo convento sull'isola sul Danubio si era trovata in sintonia con lo spirito dei movimenti di disciplinati e penitenti, che allora si diffondevano in Europa. Tra essi anche i fraticelli spirituali francescani poi accolti da Federico III su richiesta di Arnau da Vilanova. Dopo la sua morte fu vasta l'eco suscitata dai vari miracoli avvvenuti presso la sua tomba o nel coro del convento (abbandonato e poi distrutto nel XVII secolo).
E' probabile che da sua madre Maria d'Ungheria36, Eleonora, abbia appreso le prime notizie sulla zia Margherita. L'influenza di Arnau, la forte presenza nonché la protezione data a corte a numerosi fraticelli e spirituali francescani dovrebbe avere poi, verosimilmente, rinforzato la fascinazione di Eleonora per la zia, in effetti, una delle prime grandi personalità, una principessa, a sposare in toto l'ideale ascetico francescano.
Ripensando alla figura della nipote, la devota francescana Eleonora, non è, dunque, azzardato supporre che la zia asceta e mistica, carismatica e taumaturga francescana, possa essere stata un esempio, per lei, da seguire sopratutto nella fase di raccoglimento e preghiera, seguita alla morte del consorte. Un ideale contemplativo che, forse, la vicinanza ai luoghi di un'altra apparizione mariana avrebbe potuto ispirare e agevolare. Verosimilmente, proprio per questo, dunque, Eleonora scelse la contrada Guardia, non di Malopasso ma di Santa Maria del Passo. Eleonora, abbandonati quasi del tutto gli impegni di famiglia e di corte, aveva deciso di imitare la zia fino a vestire l'abito di terziaria clarissa.
Le rappresentazioni simboliche presenti nella statua della Vergine dell'Argimusco, ove Eleonora è ritratta in preghiera e avvolta nella tonaca monacale per come prescritto da Arnau de Vilanova, nonché il mosaico della cattedrale di Messina, ove ancora Eleonora è raffigurata in preghiera37, erano sogni di cui lei aveva per anni rimandato l'avveramento.
Alla fine della sua vita la promessa di vita contemplativa potè realizzarsi.
Una volta vestito l'abito delle clarisse, il sito delle apparizioni di Santa Maria del Passo era il luogo più consono ove dedicarsi alla propria personale ascesi e realizzazione, forse, anche nella segreta speranza di potere condividere le visioni celestiali della zia.
Dopo anni di guerre e scomuniche, tragedie del regno e drammi familiari, apocalissi annunciate e non avveratesi, il terrazzino di Santa Maria del Passo, miracolosamente scampato alla lava e oggi circondato da una fitta sterpaglia, era forse il posto ove finalmente Eleonora potè trovare, nel silenzio, la propria serenità.
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In conclusione non può essere un caso che Eleonora venga ancora ricordata nei luoghi ove abitò come una “stella”. Se teniamo a mente la vasta letteratura in materia di medicina astrologica del Maestro Arnau de Vilanova, il forte rapporto di questi con Eleonora e con suo marito presso la cui Corte di Montalbano andò a risiedere per alcuni anni, l'interesse per le stelle comune alla casata della Corona d'Aragona e gli altri indizi sopraccennati, non può essere una coincidenza che si sia chiamata Eleonora “Stella dell'Aragona” e non, ad esempio, “Fiore dell'Aragona”. Il fatto che la regina sia ricordata, nel posto ove andò ad abitare, per una sua connessione con le stelle, è, dunque, indizio di una sua probabile committenza dell'opera dello Specchio delle Stelle.
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Finì il periodo della Corte reale di Montalbano e della sperimentazione alchemico-stellare dello Specchio delle Stelle sul sito demaniale di Argimusco: si estinsero le memorie dei testimoni e tutto venne avvolto da un manto di oblio. L'Inquisizione, pur assente nella Sicilia aragonese, faceva paura sopratutto per le possibili conseguenze in termini politico-militari.
La memoria della Regina Eleonora scomparve anch'essa forse colpita, per via della scomunica di suo marito, da una indiretta damnatio memoriae. Eleonora, regina di Sicilia per ben 41 anni, venne presto dimenticata. Nessuno ricorda più la presenza di quella grande e coraggiosa regina nei luoghi ove ella visse la gran parte della propria vita, ovvero la corte di Messina e il palacium di Montalbano. Il Palacium di Montalbano, anzi, negli ultimi anni è stato sottoposto a vandalici restauri che lo hanno sin'anco privato dei merli ghibellini, ovvero del simbolo e del concetto di monarchia per cui combattè strenuamente tutta la vita il suo più illustre abitante, il marito di Eleonora re Federico III, sempre in guerra per quegli ideali contro gli eserciti angioini e papali. E sappiamo con quale dolore e lacerazione abbia vissuto la Regina Eleonora quelle guerre fatte contro la sua stessa famiglia angioina, contro suo fratello Roberto e contro il Papa. Non è un caso che Eleonora venne spesso utilizzata come mediatrice al fine di ricondurre a più miti consigli il fiero marito, impegnato nella salvaguardia dei valori ghibellini del suo grande nonno, lo svevo Federico II, cui volle, anche con il numero III in linea successoria, richiamarsi come unico modello, per tutta la vita.
Abbiamo visto che anche in altri luoghi della Sicilia si perse memoria della Regina Eleonora.
Nei territori Siracusani ove ella creò la Camera Reginale, un vero esperimento di emancipazione femminile ante litteram nell'ambito della consuetudine monarchica, venne presto dimenticata.
Rimase di lei un ricordo, seppur molto debole, a Catania nella chiesa di San Francesco da lei fatta costruire e che accolse le sue spoglie mortali. Altra memoria, molto flebile, è rintracciabile ad Enna ove ella fece erigere la Cattedrale, di cui ancora si ammirano le absidi in stile gotico-catalano.
Permane, invece, il suo ricordo o meglio forse la sua leggenda, nel paesino etneo di Belpasso, l'antica Malpasso o Santa Maria del Passo, che conserva segnali dei suoi sei anni di residenza.
La lava e il tempo hanno quasi del tutto coperto le sue case terrane, ma non hanno eliminato la traccia del suo passaggio: prova ne è tutt'ora la dedicazione del paese alla santa patrona, Santa Lucia, proveniente da Siracusa sede della Camera della Regina, e il titolo di Stella Aragona rimasto al quartiere ove ella abitò gli ultimi anni di vita, per come testimoniano ancora gli stendardi angioni/aragonesi esposti ancora dalle collettività del quartiere.
Abbiamo detto che Messina ha perso contezza della memoria di quella Regina, pur conservandone l'unico suo ritratto contemporaneo nell'abside sinistra del Duomo.
Una rappresentazione scultorea, impressionante e colossale, è conservata a Montalbano Elicona, nel vecchio sito demaniale montano di Argimustus. Trasposizione cristianizzata di una divinità astrale pagana, Iside come costellazione della Vergine, Eleonora è stata trasformata da Arnaldo da Villanova in una Vergine simbolo dei valori cristiani. Una santa, indossante l'abito francescano delle Clarisse, per come lui le prescrisse e per come ella, alla fine della sua vita, volle fare.

LA CHIAVE PER LA SOLUZIONE DELL'ENIGMA: LA TRACCIA DEL DENARO PER LA COMMITTENZA. LE SPESE RISERVATE DI FEDERICO III E UNA DISERZIONE FISCALE
Siamo arrivati sul punto di svelare il mistero. Fermiamoci e ricapitoliamo. Abbiamo detto che la Regina Eleonora d’Angiò è stata a nostro giudizio tra coloro, con lei l’ideatore Magister Arnau de Vilanova e il marito Re Federico III, cui è da imputare la paternità dell’opera, a nostro avviso incompiuta, del sito di statue di pietra dell’Argimusco in Montalbano Elicona. Abbiamo parlato di come la cultura medico astrologica e alchemica di Arnau e della coeva koinè islamico-iberica sia perfettamente coerente con le tecnologie mediche utilizzate sul sito (in particolare, per i salassi a mezzo dell'osservazione stellare fatta con il sestante litico arabo e con le tacche incise sui megaliti e a mezzo della vasca per l'allevamento delle sanguisughe) e con i vari simboli alchemici e templari.
Abbiamo detto della donazione di un tabernacolo di legno fatta dalla Regina Eleonora ad Arnau e della dedicazione dell’ultima opera di Arnaldo, del 1310, l’Informaciò espiritual al Rei Frederic de Sicilia, alla stessa Eleonora. Nell’Informaciò Arnau si rivolgeva alla regina Eleonora raccomandandole di non avere letture mondane e di organizzare gruppi religiosi in stile beghino, beghini che egli aveva raccomandato pressantemente al Re di ospitare e proteggere. Abbiamo detto che tali gruppi vennero, con ogni probabilità, ospitati nelle due chiese montalbanesi di Santa Caterina e di Spirito Santo, costruite nello stesso periodo (1310) in stile romanico-catalano.
Arnaldo, sempre nell’Informaciò, prescrisse ad Eleonora di essere un esempio di santità per i suoi sudditi vestendo tonache di lino per visitare gli ospedali con le sue ancelle in modo da essere scambiate, lei come personificazione della Fede, le sue ancelle della Speranza. Abbiamo detto di come la stessa immagine della suora in tonaca di lino con le mani intrecciate in preghiera (posa vietata nel paganesimo greco-romano) è oggi visibile, oltre che nell’abside sinistra del duomo di Messina, anche nello specchio delle stelle di Argimusco, ove la vergine in preghiera prende il posto della costellazione-vergine del modello iconografico arabo (il Liber locis stellarum fixarum di Al-Sufi) usato da Arnaldo.
Abbiamo cennato del progetto di Arnau di realizzare sul sito demaniale di “Argimustus”, preferita riserva di caccia con il falcone del Re, una sorta di grande talismano di pietra38 al fine della medicina astrologica per la salute della famiglia reale in vista delle tribolazioni apocalittiche attese per il 1368 o 137639. Alcuni attenti studiosi, tra essi G.Pantano40 e G.Tropea41, hanno medio tempore prodotto altri studi di conferma della tesi sull'origine medievale del sito, pur contrastata da chi si ostina a scambiare per Ciclopi o altri popoli preistorici i committenti e le maestranze impegnate nella lavorazione delle statue.
Rimangono, però, ancora tanti interrogativi. Perchè il sito rimase incompiuto negli anni successivi alla morte di Arnaldo? Come riuscì Eleonora a finanziare l’opera? Abbiamo già detto, che poco prima, nel 1308, Eleonora aveva sostituito il Castellano di Avola, terra in dotazione della sua Camera Reginale, con il fido catalano Calcerando da Vergnea. Costui era delegato anche della giurisdizione criminale nel territorio della Camera Reginale.
Il 26 agosto del 1311, proprio da Montalbano, Federico III comunicava agli ufficiali del Val di Noto di aver incaricato il nobile Enrico Rosso di Messina42, maestro razionale (una specie di ministro Tesoriere del Regno), di stabilire le assise a Siracusa per corrispondere 400 onze d'oro di “donativo obbligatorio” (exenium)43, importo pari ovvero al 3,3% di tutte le collette post-guerra acquisite nel 1286 in tutta la Sicilia, Malta compresa, pari a 12.406 onze44. Ricordiamo che Enrico Rosso, era stato dato come presente alla Corte di Montalbano, da Ramon Muntaner (y misser Orrigo Rosso) nella sua visita del 1309. E' dunque probabile che egli fosse presente anche durante la redazione dell'atto che lo incaricava.
Non è certo da ascrivere a mera casualità la circostanza che l'atto della Cancelleria con cui si prescriveva di imporre una colletta ai cittadini della Camera Reginale del Val di Noto partisse proprio da Montalbano e in presenza di Arnau de Vilanova, ovvero a pochi chilometri dal sito di statue megalitiche riproducenti simboli spesso presenti nella sua opera. La presenza di Arnau quel giorno è certa. Da lì a qualche giorno sarebbe partito per Genova nel cui mare trovò la morte il successivo 6 Settembre.
Che quelle ingenti risorse siano servite ad altro che non l’Argimusco, è da escludere. Non si ha motivo di dubitarne se consideriamo il clima di urgenza causato dall’attesa apocalittica, la contemporanea presenza a corte di uno dei personaggi religiosi e culturali tra i più famosi e controversi del Medioevo autore delle profezie, la riproduzione sull’attiguo sito demaniale reale dei simboli culturali e degli strumenti per le tecniche mediche praticate da Arnau de Vilanova e il fatto che, infine, l’allargamento del castello era stato certamente concluso prima del 1309 data dell’arrivo al Palacium di Ramon Muntaner. Altra grande opera coeva non risulta nei dintorni: le due piccole chiesette di Santa Caterina e Spirito Santo erano state fatte nel 1310 e comunque con la somma del tributo se ne sarebbero potute costruire varie decine di quelle chiesette.
Nonostante le armi e il probabile timore generato dal castellano e responsabile dell'amministrazione della giustizia De Vergnea, la riscossione fu, però, lunga e difficile per la opposizione della popolazione a contribuire. Si può anzi dire che forse siamo in presenza di uno dei primi scioperi fiscali o diserzione fiscale45 che dir si voglia.
Tanto fece sì che il 24 gennaio 1313 da Catania Federico III imponesse, con altra lettera, ai giurati di Siracusa di costringere una tal nobile Cesarea, moglie del nobile Giovanni di Montenegro, Guglielmo Palomar, e altri nobili e cittadini a corrispondere le rate loro spettanti per le 400 onze da donare al Re, e ciò nonostante il loro perdurante rifiuto46.
Nel parlamento di Castrogiovanni tenutosi nel giugno 1313, Siracusa espresse, infine, la sua adesione alla colletta votata per la ripresa della guerra contro gli Angioini: venne per questo, forse, deciso di convertire l’exenium in tassa.
Evidentemente ancora preoccupato, poco dopo, il 18 luglio 1313 da Messina Federico III scrisse al baiulo, giudici, giurati e agli uomini di Siracusa ricordando che, nel generale colloquio tenuto a Castrogiovanni nel giugno 1313, XI ind., Siracusa era stata tassata per 400 onze per la sovvenzione regia “habita compensationem ad quantitatem proinde alias terras et loca Sicilie contingentem47, ovvero al fine della compensazione di altre terre e luoghi della Sicilia. La finalità veniva ora in ultimo indicata.
Viste le difficoltà avute nel riscuotere venne ora incaricato della esazione delle onze il siracusano Guglielmo Raimondo I Moncada48 al posto del maestro razionale Enrico Rosso. Il re Federico era more tempore addivenuto a più miti consigli riducendo la somma da riscuotere a 300 onze.
La città, nel dare la sua disponibilità a contribuire alla colletta, poteva sottoporre quest’ultima a condizioni: ed è proprio questo che fece, lo abbiamo visto, quando chiese che si specificasse il motivo del tributo. Ed è quanto avvenne, poi ancora, nel 1316-17 allorché Siracusa si oppose a corrispondere le 300 onze per cui era stata di nuovo tassata obiettando che il consenso della città era stato dato per proseguire le operazioni militari e non per trattare la tregua con gli Angioini: Federico III reiterò la richiesta di corresponsione delle 300 onze, ma nella lettera del 22 agosto 1317, questa volta, si fece scrupolo di elencare in dettaglio i molti impegni finanziari contratti per la difesa del Regno e per l’armamento della flotta che rimanevano da onorare49.
La tassa, imposta a Castrogiovanni nel 1313 fu, comunque, presto revocata perché la cittadinanza fece rilevare che gli abitanti del Siracusano erano esenti dai donativi e che intendevano, pertanto, contribuire spontaneamente.
Tanto in virtù del regime fiscale esente di cui godeva Siracusa: la prima esenzione era stata, infatti, pronunciata da Federico III il 5 ottobre 129850. L'esenzione venne poi successivamente ribadita con altri atti di Federico del 26 ottobre 1306, del 26 dicembre 1306 e del 24 maggio 130751.
Un'altra interessante annotazione: l’Agnello e il Marrone52 riportano quale data dell'atto di Federico III il 26 agosto 1311 citando il primo volume conservato nella Biblioteca Comunale di Siracusa del Liber privilegiorum et diplomatum nobilis et fidelissimae Syracusarum urbis53. Nel suo Repertorio lo stesso Marrone riporta, però, quale data il 26 agosto 1297 citando, però, quale testo lo stesso Liber Privilegiorum di Siracusa.
Riteniamo che la data corretta non sia quella della X indizione nel 1297, ma in realtà quella del 1311 (IX indizione) o al massimo del 1312 (X indizione).
Da cosa traiamo questa convinzione?
In primo luogo, la definizione di “exenium” ovvero di donazione, non la tassa poi decisa a Castrogiovanni, avrebbe avuto senso solo se riferita ad una città che era già stata prima oggetto di un privilegio di esenzione.
In secondo luogo, Enrico Rosso divenne maestro razionale dal 1311/1312: non lo era certamente nel 1297 per come detto nell'atto falso54. E ancora, nel 1297 quello che residuava da recenti eventi bellici del Castello di Montalbano non era ancora stato ristrutturato e adibito a palacium reale55. Dunque è altamente improbabile che la Cancelleria regia abbia potuto rilasciare un atto da un luogo non sede reale.
Perchè allora la scelta di Siracusa come soggetto del tributo? Forse, poiché città sede della Camera Reginale avrebbe potuto accettare senza problemi l’imposizione. Almeno questo è quello che, probabilmente, pensarono Federico, Eleonora e il loro precettore Arnau de Vilanova (da lì a poco quest'ultimo sarebbe partito per la missione ove trovò la morte56 davanti al porto di Genova) in quel caldo giorno dell’agosto 1311.
Siracusa, con Isabella di Castiglia dal 1292 al 1295, era già stata sede di Camera Reginale57. In automatico, dunque, ripristinata nel 1305 la Camera Reginale, Siracusa sarebbe dovuta ritornare ad essere sede e patrimonio della Camera Reginale, per come dà ad intendere l’Agnello58.
Dunque, l'area Siracusana, sede della Camera e oggetto di ripetute attenzioni benevole in materia di esenzioni doganali e di collette di guerra, secondo le aspettative del Re non si sarebbe potuta mai sognare di creare problemi verso un'imposizione ancorchè dai contorni poco definiti. La donazione avrebbe dovuto rimpinguare le esauste casse reali per scopi volutamente non resi pubblici, dicevamo precedentemente, come fino ad oggi fatto anche per le spese riservate della Presidenza della Regione Siciliana. Si è detto che si voleva evitare che l’opera fosse resa nota alle famiglie nobiliari critiche verso la casata reale e, sopratutto, che se ne accorgesse la Chiesa di Roma che teneva in regime di scomunica il marito di Eleonora e che guardava con sospetto le opere di Arnau dopo avere tentato di metterlo un paio di volte sul rogo.
Ci fu però una sorpresa: i cittadini siracusani si rifiutarono di pagare la colletta. Dopo un anno e mezzo, il fallimento della riscossione portò il Re a scrivere ben due volte sullo stesso tema a distanza di 7 mesi.
Nel parlamento di Castrogiovanni del giugno 1313 obtorto collo Federico dovette trovare una motivazione per l’exenium. Siracusa espresse solo allora la sua adesione alla colletta che venne votata favorevolmente al fine della ripresa della guerra contro gli Angioini: da qui, come detto, la trasformazione in tassa.
Ciò non bastò ancora perchè un mese dopo Federico fu costretto ad emettere un altro atto in cui, sollecitando detto pagamento, specificava che l’importo era dovuto “quale risarcimento ad altri paesi e regioni di Sicilia”, con ciò giustificando l'effettivo trasferimento delle risorse nel Messinese, ovvero a Montalbano, da cui, ricordiamo, venne emesso l'atto originale di imposizione dell'exenium.
Come tutti i mariti, Federico immaginiamo dovette subire un anno e mezzo di martellanti insistenze da parte di Eleonora che, devota discepola di Arnau nonché sorella dell'appassionato alchimista Roberto Re di Napoli, premeva, affinchè dopo la morte del Maestro, venisse completata l'opera. Se poi ricordiamo che come tanti regnanti della Casata Aragonese59, la sua passione per le stelle era tale che gli abitanti di Malpasso reintitolarono, in suo onore, il borgo in cui viveva in “Stella Aragona60, possiamo avere chiaro lo stress del Re determinante un colloquio in parlamento e ben tre atti di cancelleria non legati alle più importanti vicende belliche o del Regno, ma all'esigenza del completamento dell'opera dello “speculum astrorum” prima dell' annunciata apocalisse.
Possiamo, dunque, ora capire, per quale motivo i lavori dell’Argimusco siano rimasti incompleti.
Il cantiere dotato di argani e mezzi costosi, forse, provenienti da lontano, si era bloccato alla morte del suo progettista e ideatore.
Il re impaurito di avere, forse, innescato le attenzioni delle famiglie nobiliari al Parlamento di Castrogiovanni o peggio dell'Inquisizione (che aveva già tentato di mettere sul rogo Arnaldo da Villanova) non completò i lavori e con ogni probabilità fece sparire ogni documento o carteggio sull'opera, per non lasciare tracce. La dichiarazione fatta a luglio 1313 sulla reale destinazione ad altra zona di Sicilia e la provenienza dell'atto da Montalbano avrebbero potuto fare scattare indebite curiosità. Forse, in tutta fretta venne distrutta ogni prova della committenza reale dei lavori. Il sito megalitico, talismano medico della famiglia reale, rimase incompiuto e venne poi presto dimenticato.
Nel frattempo, il ricordo del significato e del piano stellare dell'opera era già sceso nella tomba con Arnaldo.
Dall’agosto 1313 all’agosto 1314 l’alchimista astrologo catalano Raimondo Lullo dimorò in Sicilia, a Messina61, ove è noto scrisse una trentina di testi. Perchè Lullo venne, dunque, in Sicilia?
Certamente, uno come lui, un’autorità di primissimo piano nel panorama culturale europeo, non vi capitò a caso. Fu chiamato dal Re Federico, al fine, ipotizziamo, di completare il cantiere rimasto bloccato. Non è un caso, dunque, che l’ultima e pressante lettera di Federico sia del luglio 1314, ovvero di un mese prima l’arrivo di Lullo.
Federico aveva, forse, urgenza di procurarsi anche le risorse per pagare l’unica persona che, verosimilmente, avrebbe potuto interpretare le intenzioni progettuali di Arnau, giacchè scomparse insieme a lui.
Probabilmente, il tentativo fallì o forse, Raimondo potè completare qualche cosa del piano di Arnau. Certo, è, però, che le grandi pietre disordinatamente sparse sul pianoro in alto non stanno a testimoniare la compiuta e funzionale realizzazione di un grande progetto reale. Il successivo oblio delle conoscenze medico-astrali, il silenzio e l'incuria di 700 anni di abbandono poi fecero il resto.
Dunque, da Montalbano e, verosimilmente per esigenze ivi maturate, il 26 agosto del 131162, in presenza del medico alchimista/astrologo Arnau de Vilanova, venne emesso un atto per un'imposizione fiscale gravante sulla Camera della Regina Eleonora d'Angiò. Per evidenziare la cogenza dell'atto, ad emettere la disposizione non fu la Regina, quale titolare della Camera, ma il Re in persona che incaricava della riscossione non un qualunque gabelloto, come in tanti altri atti regi, bensì il tesoriere reale, Enrico Rosso. Sorprendentemente, le collettività della Camera Reginale opposero, però, una sorda resistenza fiscale in nome di quella che oggi chiameremo “trasparenza”. Il Re alla fine dovette ammettere, anche se parzialmente, il reale scopo dell'exenium non rivolto alle guerre, ma ad una compensazione destinata ad altri luoghi della Sicilia, ovvero a Montalbano da cui l'atto fiscale originario proveniva.
Ci sembra, dunque, opportuno concludere che l’Argimusco, oltre ad essere un unicum mondiale quale vero e proprio “specchio delle stelle”, possa essere definito anche come una delle prime grandi opere a non essere stata completata per scarsità di risorse finanziarie. Non solo: per il finanziamento di esso si è scatenata una delle prime resistenze fiscali che la storia ricordi.
Gli abitanti del Siracusano stufi di imposizioni fiscali chiesero conto e ragione dell’utilizzo delle risorse loro fiscalmente sottratte. Chiesero, si direbbe oggi, trasparenza fiscale.
L'Argimusco è, forse, anche un silenzioso monito valido anche per la politica di oggi?!?
PAUL DEVINS E ALESSANDRO  MUSCO

1 Sulla storia della corte aragonese di Federico III di Trinacria ed Eleonora d'Angio vedi il fondamentale A. De Stefano, Federigo III d'Aragona, re di Sicilia, Palermo 1937, pp. 108, 215; V. Casagrandi, La francescana Eleonora d'Angiò, regina di Sicilia, Catania 1926; F. De Stefano, Contributo alla storia della Sicilia nel sec. XIV, in Arch. stor. per la Sicilia orientale, XXVI (1930), pp. 179, 215; F. Napoli, Storia della città di Mazara, Mazara 1932, p. 68; G. Leanti, L'Ordine francescano in Sicilia nei secoli XIII e XIV, in Miscell. francescana, XXXVII (1937), pp. 567 s.; Id., Nel sesto centenario della morte di Federico II d'Aragona, re di Sicilia (25 giugno 1337), Noto 1937, pp. II ss., 131 ss.; Acta Aragonensia, a cura di H. Finke, III, Berlin-Leipzig 1922, p. 737, n. 453; Michele da Piazza, Cronaca, a cura di A. Giuffrida, Palermo 1980, pp. 66, 143, 164; T. Fazello, De rebus Siculis decades duae, I, Panormi 1608, pp. 517, 527; F. Testa, De vita et rebus gestis Federici II Siciliae regis, Panormi 1775, pp. 126, 136; R. Gregorio, Considerazioni sopra la storia di Sicilia dai tempi normanni fino ai presenti, II, a cura di A. Saitta, Palermo 1972, pp. 177, 185, 228.
2 S. Marino Mazzara, OFM, Costanza di Svevia ed Eleonora di Francia, in Studi Francescani, 1926, p. 105 citato da Francesco Costa Eleonora d'Angiò (1289-1343). Regina francescana di Sicilia in “I Francescani e la politica: atti del convegno internazionale di studio 2002” a cura di A. Musco - Franciscana 13/1, p. 188
3 G. Leanti, L'Ordine francescano in Sicilia,opera citata, pp. 142,143 s.;
4 Francesco Costa Eleonora d'Angiò (1289-1343). Regina francescana di Sicilia in “I Francescani e la politica: atti del convegno internazionale di studio 2002” a cura di A. Musco - Franciscana 13/1, p. 193 e p. 199 e ss.
5 Nicolai Specialis Historia Sicula, in R. Gregorio, Bibliotheca scriptorum qui res in Sicilia gestas sub Aragonum imperio retulere, I, Panormi 1791, pp. 451, 456 ss., 488, 501, 507; Anonymi Chronicon Siculum, ibid., II, ibid. 1792, pp. 180 s., 184 s., 262;
6 Cfr. E. Benedictis, Della Camera delle regine siciliane, Siracusa 1890, pp. 3 s., 7 s., 11 s.;
7Ad inclitum tercium Fredericum Trinacriae regem illustrem” del 1305, l'Interpretatio facta per Magistrum Arnaldum de Villanova de visionibus in somnis dominorum Iacobi secundi regis Aragonum et Frederici tertii regis Siciliae eius fratris” del 1308 e il Rahonement d'Anjo del 1309.
8 “item tabernalculum ligneum quod dedit regina Siciliae”. R. Chabas Inventario de los libros, ropas y demas efectos de Arnaldo de Villanueva, in Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos”, 9, 1903, p.196 nota citata in Francesco Costa “Eleonora d'Angiò (1289-1343). Regina francescana di Sicilia” in “I Francescani e la politica: atti del convegno internazionale di studio 2002” a cura di A. Musco - Franciscana 13/1
9 In altra parte di questo studio abbiamo trattato dell'interesse per l'alchimia allora in voga presso i francescani come Giovanni da Rupescissa, Raimondo Lullo e lo stesso Arnau. Eleonora, forte simpatizzante, francescana certo non poteva essere attratta dall' “arte regia”
10 A.Kiesewetter Eleonora d'Angiò Regina di Sicilia in Dizionario Biografico degli Italiani XLII, 1993, p.339-42
11 Cagliola, Almae Siciliensis provinciae ordinis minorum conventualium S. Francisci manifesationes novissimae, Venetiis 1644 ristampato dall'Officina degli studi medievali di Palermo nel 1984.
12 Francesco Costa “Eleonora d'Angiò (1289-1343). Regina francescana di Sicilia” in “I Francescani e la politica: atti del convegno internazionale di studio 2002” a cura di A. Musco - Franciscana 13/1, p. 195
13 Si veda Venerando Bruno "Quell'antico convento di Malpasso", Brancato 1996 e Venerando Bruno, "In difesa della storia patria", Belpasso 1994. Le prime ricerche nonché le prime campagne pubbliche per la tutela del sito della Cisterna della Regina sono state fatte dal Bruno.
14 Cfr. Venerando Bruno "Quell'antico convento di Malpasso", Brancato 1996, pag. 117, nota n.1.
15 Cfr. Francesco Costa Eleonora d'Angiò (1289-1343). Regina francescana di Sicilia in “I Francescani e la politica: atti del convegno internazionale di studio 2002” a cura di A. Musco - Franciscana 13/1, p. 217/18 e Mons. Savasta Memorie storiche di Paternò, p. 164/66.
16 Abbiamo visto sopra che è certo che l'usanza delle mani giunte con dita intrecciate è giunta in occidente solo con il Cristianesimo. Nella civiltà greco-romana intrecciare le dita era considerato anzi malaugurante. Altre prove riportano l'origine del sito al medioevo, tra esse: il pellicano dell'ingresso(inteso quale vagina da altri studiosi) simbolo medievale del Cristo, la civetta (inteso quale fallo maschile da studiosi locali) simbolo alchemico e della Dea Minerva, il tetraedro simbolo templare su cui Arnau aveva scritto un testo (Allocutio super significatione nominis "Thetragrammaton”), l'Aquila contenente tra le penne un viso (simbolo di Giove che si trasforma nel volatile secondo la mitologia greca), il grande alambicco dell'ingresso simbolo alchemico, il salnitro altro simbolo alchemico, il sestante di pietra, classico strumento astronomico inventato dagli Arabi, la vicina vasca per la coltivazione delle sanguisughe applicate secondo le osservazioni stellari e lunari fatte dal sestante per come prescriveva la medicina araba, etc..
17 Per la sua attività politica discreta e pur tuttavia decisa vedi Francesco Costa Eleonora d'Angiò (1289-1343). Regina francescana di Sicilia in “I Francescani e la politica: atti del convegno internazionale di studio 2002” a cura di A. Musco - Franciscana 13/1
18 La frazione di Stella Aragona fu rifondata da Don Melchiorre Rapisarda nel 1680 nello stesso luogo dove sorge l'attuale quartiere di Borrello.
19 Chiunque facendo una ricerca su internet potrà verificare che non esistono altri toponimi in Italia o Spagna comunque assimibilabili al nome “Stella Aragona”. L'unico toponimo è appunto il borgo di Stella Aragona nell'antica Malpasso.
20 La bandiera del regno di Napoli fu quella adottata da Carlo I d'Angiò quando incoronato Re di Sicilia. È l'evoluzione del suo blasone in cui erano rappresentati i gligli di Francia una concessione araldica che Filippo il Bello aveva dato a nobili di particolare merito.Sulla cima della bandiera, in linea con quanto rappresentato dallo stemma angioino, vi era il lambello rosso a tre gocce che contraddistingueva il ramo cadetto della casa d'Angiò.
21 Per un quadro generale dell'attenzione prestata dagli appartenenti alla corona aragonese alla osservazione delle stelle si veda: Michael A. Ryan “A Kingdom of Stargazers: Astrology and Authority in the Late Medieval Crown of Aragon” Cornell University Press, 2011
22 In viaggio da Palermo ad Enna, Federico si ammalò gravemente. Morì il 25 giugno del 1337 nel tragitto tra Palermo e Catania, poiché sperava di ricevere cure migliori nell'ospedale della Commenda di S. Giovanni Gerosolimitano nei pressi di Paternò. Come si usava all'epoca, nell'ospedale vennero sepolte le viscere, mentre la salma, trasportata a Catania, fu esposta al Castello Ursino. Federico aveva dichiarato nel testamento di voler esser sepolto a san Francesco nella città di Barcellona, accanto al fratello Alfonso d'Aragona e alla madre Costanza, ma modificò le sue volontà e dispose per una sepoltura nella cattedrale nel capoluogo. La salma venne quindi tumulata provvisoriamente nella Cattedrale di Catania, in attesa di traslazione a Palermo. A causa del perdurare della guerra del Vespro la salma rimase definitivamente a Catania.
23 Ben documentati da Marrone A. “Repertorio degli atti della Cancelleria del Regno di Sicilia dal 1282 al 1377”
24 Si veda Antonio Mursia “Considerazioni sull’istituzione e sulle funzioni dei monasteri benedettini del versante meridionale dell’Etna”, Mediaeval sophia». studi e ricerche sui saperi medievali E-Review semestrale dell’Officina di Studi Medievali 13 (gennaio-giugno 2013), pp. 120-125; G. Arlotta, Vie Francigene, hospitalia e toponimi carolingi nella Sicilia medievale, in M. Oldoni (ed.), Tra Roma e Gerusalemme nel Medioevo. Paesaggi umani ed ambientali del pellegrinaggio meridionale, Atti del Congresso Internazionale di Studi III (Salerno-Cava de’ Tirreni-Ravello, 26-29 ottobre 2000) , Salerno 2005, pp. 861-865.
25 L. T. White, Il monachesimo latino nella Sicilia normanna , Siracusa 1984,, pp. 182-186.
26 L. Arcifa , Un’area di strada nel medioevo: la media valle del Simeto , in G. Lamagna (ed.), Tra Etna e Simeto. La ricerca archeologica ad Adrano e nel suo territorio , Biblioteca della Provincia Regionale di Catania, Giarre 2009, cit., p. 192. Per i percorsi stradali medievali e sulla Via Francigena che passava dall'Argimusco si veda, in particolare, il pregevole lavoro di G. Tropea pubblicato sul sito internet http://www.medioevosicilia.eu a titolo “Argimusco e via Francigena in Sicilia: Contrada Argimusco, valico dei Nebrodi”, 2013
27 C. A. Garufi , Gli Aleramici e i Normanni in Sicilia e nelle Puglie. Documenti e ricerche , in AA . VV ., Centenari
28 Cfr.Antonio Mursia “Considerazioni...” ibidem pag.123
29 Vedi http://www.prolocobelpasso.it/ e voce Belpasso su wikipedia
30 Sulla tesi del malum da intendere non come aggettivo ma come sostantivo di mele si veda in Venerando Bruno "Quell'antico convento di Malpasso", Brancato 1996
31 Notizia tratta dalla scheda sulla chiesa di Santa Maria della Guardia di Belpasso Borrello e pubblicata su : http://www.chieseitaliane.chiesacattolica.it. ”Sicuramente la cappella esisteva ancora nel 1618, in quanto vi si stabilì la confraternita del SS. Sacramento e si hanno notizie certe dell'antico edificio religioso nel 1656, quando i rettori chiesero al vescovo il permesso di ampliarlo. La chiesa è citata anche in un documento del 1590, mentre dovrebbe risalire al 14.7.1635 l'erezione sacramentale. Andata distrutta insieme al borgo nell'eruzione del 1669, in occasione della fondazione di Stella Aragona fu ricostruita da Don Melchiorre Rapisarda nel 1680 nello stesso luogo dove sorge quella attuale..”
32 Alla sua morte Eleonora regalò ai Francescani il piccolo complesso monastico di San Francesco alla collina in Paternò, dal 1196 in proprietà dei monaci benedettini. I francescani successivamente ampliarono il monastero con il permesso papale.
33 Successivamente Malpasso venne distrutto dall'eruzione del 1669. La popolazione si disperse per insediarsi a Catania, S.Maria di Licodia, Paternò, Agrigento. Come detto alcuni sopravvissuti fondarono il quartiere di Stella Aragona (l'attuale Borrello) nella zona de “la Guardia” con centotrenta case ed una chiesa; altri malpassoti scampati alla catastrofe si insediarono nei pressi di Valcorrente delimitando il regolare tracciato a scacchiera della nuova Fenicia Moncada. Nel 1687 un atto pubblico sanciva i rapporti politici tra Stella Aragona e Fenicia Moncada.
34 Margherita era stata una delle più grandi mistiche medioevali europee. La sua tomba divenne meta di pellegrinaggi. Si narra che durante uno dei miracoli attribuitigli fossero presenti più di tremila persone. Nel 1425, in Francia, Giovanna d’Arco si sentì chiamata, da “voci” misteriose, a rafforzare la propria fede e a liberare la Francia. Al processo che finirà col supplizio, Giovanna darà alle “voci” un nome: «Michele arcangelo, Caterina da Siena e Margherita d’Ungheria» (dal sito internet http://www.santiebeati.it, Antonio Borrelli).
35 “Margherita era figlia di re Béla IV d’Ungheria. E prima che venga al mondo, sul suo Paese piomba l’invasione mongola comandata da Batu, nipote di Gengis Khan: dopo aver devastato e saccheggiato i territori russi, ucraini e polacchi, dilaga in Ungheria, e in una battaglia campale disperde le truppe comandate da Béla IV, con ungari, croati, tedeschi e templari francesi. La famiglia reale d’Ungheria si rifugia in Dalmazia. La regina sta per partorire, e già si decide che, se nascerà una bambina, l’accoglierà un convento. È un voto, per la salvezza dell’Ungheria. Così, sui tre-quattro anni, eccola già accolta nel convento domenicano di Santa Caterina, a Veszprém; e intanto nasce per lei un’altra casa di suore presso Buda, su un’isoletta del Danubio che si chiamerà poi Isola Margherita. Niente vocazione, dunque: hanno fatto tutto i genitori. I quali poi, nel 1260, vogliono farla maritare al re Ottocaro II di Boemia, col quale l’Ungheria ha fatto pace dopo una guerra sfortunata. Lei, al momento, ha diciotto anni, e dice di no. Ottocaro sposerà una sua sorella. Poi Margherita fa di più: se finora era nel convento una sorta di illustre ospite, ora si fa domenicana. La vocazione è arrivata adesso, come lei dice al suo confessore, il domenicano frate Marcello. Dopo di lei arrivano in convento altre figlie dell’aristocrazia ungherese. Forse anche loro“chiamate”. Oppure forse spinte dall’ambizione di andare a star bene accanto alla figlia del re, mettendo insieme una piccola corte. Non così la pensa Margherita. Certo, tiene presenti anche le vicende di fuori. Anzi, nel 1265 si impegna per mettere fine a una guerra di famiglia. Suo fratello Stefano V (tre anni più di lei), (nonno di Eleonora d'Angiò), si è ribellato al padre Béla IV, che pure lo aveva associato al trono; e gli fa addiritturala guerra. Margherita a questo punto interviene e riconcilia padre e fratello. Ma come religiosa non si fa sconti: lì non è più la figlia del re. I suoi connotati di religiosa si trovano nelle deposizioni di un centinaio di testimoni, che nel 1276 (sei anni dopo la morte) depongono davanti a due delegati pontifici giunti da Roma per indagare sulla sua fama di santità. E qui troviamo una donna che vive la Regola, e vi aggiunge pure del suo, dedicandosi a una continua opera di imitazione di Gesù nella sofferenza fisica e nell’umiliazione. Si fa leggere molto spesso il racconto della Passione, e lo ascolta in piedi. Si priva di cibo e di riposo per il desiderio di vicinanza al Signore sofferente. Cerca persino di cancellare dal viso ogni traccia di bellezza....” (tratto da sito internet http://www.santiebeati.it, autori Antonio Borrelli e Domenico Agasso). Si veda ancora Atlante Santi e beati Il Sapere, 1999, pag. 186 e Dizionario cronologico delle apparizioni della Madonna, Hierzenberger Nedomansky, Piemme, 1993 pag. 75.
36 Eleonora era figlia di Maria d'Ungheria(1257–25 marzo 1323) appartenente alla dinastia ungherese degli Arpadi, fu regna consorte di Napoli. Fu la figlia - forse primogenita – di Stefano V d'Ungheria e di sua moglie, la regina Elisabetta. Suo fratello Ladislao regnò sull'Ungheria dal 1272 al 1290. Dopo le nozze con Carlo II lo zoppo, acquisì il titolo di regina consorte di Napoli, dal 1285 al 1309 e ricevette il castello di Melfi come residenza ufficiale nel 1284.
37 Eleonora è ritratta vestita con la corona reale e con le mani giunte allungate in preghiera. Sopra di sé vi è l'arcangelo Michele, che con una mano sembra proteggerla, e Sant'Agata, santa patrona di Catania. Quest'ultima tiene nel palmo della mano una torre (simbolo di un castello). La stessa cosa dall'altra parte dell'abside ove si vedono la sua nuora, sposa di suo figlio Pietro II, Elisabetta di Carinzia, e sopra di lei l'arcangelo Gabriele e Santa Lucia, santa patrona di Siracusa. Anche Lucia tiene in mano un castello. Il mosaico centrale raffigura, invece, sulla sinistra Federico III d'Aragona in ginocchio e l'arcivescovo Guidotto da Abbiate, filo aragonese e ghibellino, schieratosi con Federico nel contrasto con gli angioni e il papa. Sul lato destro è ritratto il figlio di Federico, Pietro II d'Aragona. Non è, secondo noi, un caso che sant'Agata sia ritratta sopra Eleonora poiché ella dal 1337 in poi si trasferì nel catanese. Santa Lucia viene raffigurata sopra Elisabetta, forse, per via della Camera Reginale, nel frattempo consolidatasi nella dotazione patromoniale, sita presso Castel Maniace a Siracusa. Il mosaico è, secondo noi, stato fatto dopo il 1337, data della morte di Federico, e prima della morte di Pietro II, nel 1342. Tanto poichè non è stato rappresentato nei mosaici il figlio di questi Ludovico, subentrato a sei anni sul trono (sotto la reggenza della madre Elisabetta) e rimastovi fino alla sua morte nel 1355. E', dunque, a nostro avviso, verosimile che i due mosaici, quello di sinistra e centrale, siano stati fatti tra il 1337 e il 1342, data della morte di Pietro. I mosaici all'epoca intendevano rappresentare le due coppie reali, Federico e Eleonora e Pietro e Elisabetta, con l'unica eccezione dell'arcivescovo Guidotto che coraggiosamente si schierò con Federico contro il papa.
38 Per le nostre tesi sul piano complessivo del talismano di medicina astrologica di Argimusco vedi Paul Devins “Il Mistero dell'Argimusco” 2010 ISBN 978-1-4466-4343-3, Paul Devins “La scoperta dell'Argimusco” 2011 ISBN 978-1-4466-0438-0
39 Per il prosieguo della ricerca sulla koinè islamico-iberica all'origine della cultura medico, alchemica e astrologica di Arnaldo da Villanova vedi Paul Devins “Considerazioni propedeutiche alla vendicazione di Arnau de Vilanova” 2012 ISBN 9781471071973 e Paul Devins e Alessandro Musco “Argimusco Decoded” 2013 ISBN 978-1-291-09104-5, si veda inoltre Centonove del 6 settembre 2013 pag.26/27, Centonove del 29 marzo 2013, pag. 30/31, del 23 marzo 2012 pag. 36/37, del 10 giugno 2011 pag. 35
40 Giuseppe Pantano “Il fondaco dimenticato” su Centonove del 27 settembre 2013
41 Giuseppe Tropea, “Contrada Argimusco” sul sito internet medioevosicilia.eu
42 Laura Sciascia riassume così la figura di Enrico Rosso: “uomo d’affari spregiudicato e di grande successo, capo di una famiglia che è soprattutto una possente fabbrica di denaro e di potere” in Lettere dalla Sicilia: i notabili siciliani a Giacomo II, Schede Medievali 49 Officina degli Studi Medievali, pag. 402
43 Vedi Marrone in Sovvenzioni regie, riveli, demografia in sicilia dal 1277 al 1398 pag. 26 in Mediterranea - ricerche storiche - Anno IX 2012 pag 51 e G. Agnello, Urbs fidelissima. Il governo di Siracusa durante la Camera reginale (1282-1536), pag. 9. Il documento originale della lettera è quello del BCS LP ovvero Liber Privilegiorum et Diplomatum nobilis et fedelissime Siracusarum urbis, 1, ff. 86 e 70v-71r. Il Marrone nel Repertorio, op.cit., riporta quale documento la stessa lettera del 26 agosto 1311 contenuta al volume I del Liber, ff. 86. In una email inviata dal Marrone agli autori questi spiega che causa un errore si è indicata nel suo Repertorium come fonte un Liber presuntivamente conservato presso la Biblioteca Alagoniana di Siracusa. Il Marrone spiega che in realtà il Liber è solo presso la Biblioteca Comunale.
44 cfr. Marrone in Sovvenzioni regie, riveli, demografia in sicilia dal 1277 al 1398 pag. 26 in Mediterranea - ricerche storiche - Anno IX 2012
45 Il primo caso conosciuto è quello del 1 secolo DC quando gli zeloti si rifiutarono di pagare le tasse ai Romani.
46 Marrone in Repertorio, op.cit., pag. 100 Liber Privilegiorum di Siracusa libri III, manoscritto presso la Biblioteca Alagoniana di Siracusa, I, 70v. In realtà, come visto nella superiore nota, trattasi di un manoscritto presso la Biblioteca Comunale di Siracusa.
47 Ibidem pag. 100, Liber Privilegiorum di Siracusa libri III, manoscritto presso la Biblioteca Alagoniana di Siracusa, I 124v;
48 Verso gli inizi del Trecento Guglielmo Raimondo I Moncada si unì in matrimonio a Luchina di Malta, figlia di Guglielmo, a seguito del quale fu investito dal re aragonese come marchese di Malta e Gozo. Nel 1320 queste terre gli furono tolte in cambio della contea di Agosta e delle rendite sulle tonnare di Altavilla e Melilli. Alla sua morte, il figlio Guglielmo Raimondo Moncada gli succedette alla contea di Agosta
49 Marrone in Repertorio, op.cit., pag. 107
50 Federico III emana un privilegio con cui Siracusa viene esentata “ab impositionibus et solutionibus cuiuscumque pecuniae de cetero imponendae et recolligendae in Sicilia et alibi tam pro armata nostri felicis extolii, quam pro aliis quibuscunque causis et negotiis, quodque ipsi, sicut et heredes eorum perpetuo”. Corrado Lancia cancelliere, cfr. Marrone in Repertorio, op.cit., pag. 84, Liber privilegiorum, I, c. 21: De exemptione generali a quibuscunque collectis.
51 Marrone in Repertorio, op.cit., pag. 94
52Marrone in La corte itinerante di Sicilia negli anni 1282-1377 Schede Medievali 49, Officina Studi Medievali, pag. 160
53 G. Agnello, Urbs fidelissima. Il governo di Siracusa durante la Camera reginale (1282-1536), pag. 9, Biblioteca Comunale, Siracusa, Liber privilegiorum et diplomatum nobilis et fidelissimae Syracusarum urbis volume 1, ff. 86 e 70v-71r; 1, ff. 124v-125; 3, ff. 16v-17r; ff. 91-92r e ff. 81-82r.
54 Acta Curiae Felicis Urbis Panormi 1, pag. 48 citato in Nobiltà di stato: famiglie e identità aristocratiche del tardo Medioevo : la Sicilia E.Igor Mineo Donzelli Editore, 2001 – pag. 163. Il Backman testualmente dice che il Rosso era considerato dalla Corte “come traditore fino al 1297” (pag. 130 di Declino e caduta..): Laura Sciascia, citata in nota da Backman, citando l'Acta Curie 1, doc. 58 dice che assunse il ruolo nel 1311/12. Backam stesso ammette di “non avere trovato documenti che confermino la sua nomina già nel 1300”. Tanto che cita una lettera del 1304 di “messa a disponibilità” da parte di Enrico a Giacomo. E' certo dice Backman che “Enrico fu riammesso dopo Capo d'Orlando e prima di Caltabellotta. Backman a pagina 112 dice ancora che Enrico cominciò solo "nel 1312 la sua carriera di magister rationalis".
55 I lavori del Castello di Montalbano iniziarono solo nel 1302.
56 Come detto la morte di Arnau dalla maggior parte degli studiosi viene fissata nel settembre 2011. Perarnau dice che la sua morte avvenne per l'esattezza il 6 settembre 1311, ovvero 11 giorni dopo l'atto per il finanziamento dell'opera: “mestre Arnau de Vilanova, del qual, d'altra banda, ens consta la seva estada a l'illa de Sicilia immediatament abans de la seva mort, que hom data del 6 de setembre del 1311”, J. Perarnau “Problemes i criteris d'autenticitat d'obres espirituals atribuïdes a Arnau de Vilanova”, pag. 84
57 Cfr. Giuseppe Agnello Urbs fidelissima. Il governo di Siracusa durante la Camera reginale (1282-1536) pag. 8 e 9
58 “Nel 1295, alla morte della regina, Siracusa tornò automaticamente al demanio regio e vi rimase per dieci anni, senza che vi fosse alcun cambiamento degno di nota...” vedi G.Agnello ibidem pag.8. Dal Costa però sappiamo che formalmente Siracusa entrò come patrimonio dotario solo nel 1314” vedi F. Costa, op.cit pag. 183 e Kiesewetter, op.cit. pg. 397A e R. Starabba Del dotario delle regine di Sicilia, detto altimenti Camera Reginale, in Archivio storico Siciliano, 2 (1874), pag. 400 nota 1
59 cfr. Michael E. Ryan 2011 op.cit. “A Kingdom of Stargazers: Astrology...”
60 Su questo si veda il precedente paragrafo.
61 F. Costa, op.cit. Pag. 187
62 Con il consenso di Antonino Marrone pubblichiamo uno stralcio di una sua lettera indirizzata agli autori circa la datazione del documento: “...Va esclusa la data 26.08.1311 poiché questa data rientrerebbe nella IX ind. (1310-11) e non nella X ind. (1311-12): fui indotto a proporre questa data ne “La corte itinerante di Sicilia negli anni 1282-1377”, p. 160, dal fatto che il 3 settembre 1311 (X ind.) il sovrano si trovava a Montalbano ma non tenni conto che l’agosto 1311 ricade nella IX ind. (peraltro, l’articolo è stato pubblicato a 7 anni di distanza dalla sua elaborazione, mentre nel frattempo avevo formulato ipotesi diverse). (…)  Nel Repertorio degli atti della Cancelleria del Regno di Sicilia ho datato al 26.08.1297 la lettera regia scritta a Montalbano, in quanto sappiamo che Federico III almeno dal 22 giugno al 13 settembre 1297 inviò delle lettere mentre stava all’assedio di Castiglione e non è escluso che durante quei mesi possa aver effettuato delle puntate nei centri vicini, fra cui Montalbano. Alla luce di un più attento esame della documentazione, penso però che la datazione più corretta possa essere il 26.08.1312, X ind., per i seguenti motivi: Enrico Rubeo ricopriva ancora la carica di  maestro razionale (a meno di ribellione, tutte le cariche, compresa quella di maestro razionale, erano a vita); sappiamo che il sovrano si trovava a Palermo il 12 agosto 1312 e a Nicosia il 2 ottobre 1312 (cfr. Repertorio degli atti della Cancelleria del Regno), e quindi il 26 agosto 1312 si sarebbe potuto trovare a Montalbano; infine, l’ingiunzione fatta quel 26 agosto 1312 (X ind.) ai giurati di imporre le assise ai siracusani per corrispondere lo xenium di 400 onze offerto dagli stessi giurati al re, si collega bene con la lettera del 24.1.1313 (XI ind.) con cui gli stessi giurati siracusani lamentavano che alcuni cittadini si rifiutavano di pagare quanto da loro dovuto per lo xenio di 400 onze...”. Ringraziamo sentitamente del contributo il valente studioso. Ci riserviamo, ancora, di meglio verificare la data dell'atto, 1311 o 1312, anche se propendiamo per la prima data. Per i sopra elencati motivi legati alla contestuale presenza alla corte montalbanese di Arnau de Vilanova, verosimile autore del piano delle statue stellari, crediamo che non sia da escludere un errore dello scrivano della cancelleria. Questi potrebbe avere indicato per svista quale indizione la X piuttosto che la IX, circostanza peraltro non difficile atteso che pochi giorni dopo il 26 agosto 1311 iniziava la X indizione. Già il 3 settembre 1311, infatti, risultava già iniziata la X Indizione. In quella data Federico III scrisse a Giacomo II sul tema della sua intitolazione quale Re di Trinacria (ACA Cartas Giacomo II, n. 10120 e Acta Sicula-Aragonensia II: Documenti sulla luogotenenza di Federico d’Aragona a cura di F. Giunta A. Giuffrida, Palermo, 1972, 123). Lo stesso Marrone individua la presenza di “taluni documenti che mostrano discordanza tra la data cronica e quella topica, o tra l’anno indizionale e l’anno comune, oppure che non riportano l’indicazione dell’anno indizionale o dell’anno comune. Ciò deriva dall’usanza “che si aveva nelle cancellerie pubbliche medievali di datare i documenti indicando, oltre il luogo (data topica), solo il giorno, il mese e l’indizione, omettendo quasi sempre il cosiddetto anno comune”. A ciò bisogna aggiungere anche “banali errori degli scrivani della cancelleria” (pag. 5 Repertorio) cosa che lo porta a fare in Appendice 1 del suo vastissimo Repertorio un “Elenco degli atti regi la cui datazione risulta errata nelle trascrizioni”. A pag. 911/912 del Repertorio sono visibili altri errori degli scrivani riconducibili proprio a quel lasso di tempo tra il 1310 e il 1313.